di Paolo Bagnoli

A cosa sia ridotta oramai la politica italiana ne abbiamo avuto conferma dalle ultime elezioni amministrative; soprattutto dai commenti che hanno seguito i risultati. Sembrava di leggere il resoconto di una partita di calcio quando si segnalano gli assist, i tiri in porta fatti, i tiri fuori porta, quante volte una squadra ha posseduto il pallone e così via: ossia, la riduzione numerica e statistica dell’intero evento. Ora, se per un incontro di calcio, lo si può capire – un noto e bravissimo giornalista sportivo, Eugenio Danese in questo era impareggiabile – per le elezioni non lo si capisce e nemmeno lo si giustifica, a meno che non si ricorra alla categoria della “miseria della politica” ben sottolineata dall’astensione crescente dei votanti al secondo turno rispetto al primo. Il distacco degli italiani dalla politica non può essere ridotto a mero dato statistico.

Così, il Pd con i suoi sette successi ha, giustamente, cantato vittoria facendo capire quale sia la strada per le politiche: campo largo ovvero, come sogna Enrico Letta, un nuovo Ulivo. Ma non è che da quando il duo Bettini-Zingaretti lo prefigurava intorno a Giuseppe Conte, le cose siano un po’ cambiate? Lo sono, sicuramente e se quella di allora veniva fatta passare come una linea strategica ora appare solo come una chiamata a raccolta per far numero contro l’avversario, il resto non conta: basta vincere. In politica vincere è importante e battere questa destra che non riesce a essere nemmeno sé stessa – a Giorgia Meloni praticamente basta stare ferma per crescere un po’. Solo un po’, però, perché un peso intrinseco la impiomba: quello della radice a monte della sua formazione.

Silvio Berlusconi, infatti, con voce ansimante ha detto che ci penserà lui a convocare un vertice. Il problema è che dai vortici non si esce coi vertici e il vortice ha due correnti: una si chiama Matteo Salvini, l’altra Forza Italia di cui una considerevole parte è fortemente attratta dal “centro” – un qualcosa che in Italia assomiglia più a una categoria dello spirito che non a una collocazione parlamentare – fermo restando che, come per gli ulivisti, per i destri ciò che conta è battere l’avversario. Per il resto sono eguali: vuoto di politica c’è da una parte come quanto ce n’è dall’altra. Il centro, per restare al linguaggio comune dei politici da dichiarazione, è come l’orizzonte: una linea che si allontana via via che pensi di avvicinarcisi.

Oltretutto, per immaginare che possa esistere, occorre un sistema proporzionale perché altrimenti sei di centro solo se fai politiche centriste intese all’Italiana, ma ciò sta già avvenendo con un bipolarismo addirittura di coalizione. Vediamo cosa sapranno fare i nuovi sindaci e c’è da augurarsi che, siano di una parte oppure di un’altra, facciano al meglio possibile, soprattutto dimostrando serietà e responsabilità nell’adempire al compito cui sono stati chiamati. Ma è possibile che non si sia levato un urlo bipartisan su ciò che ci dicono i numeri, quelli dell’astensione che sono come brivido malsano della nostra democrazia sempre più personalizzata, senza identità – fenomeno che si chiama “candidati civici”, non dimentichiamolo – senza un minimo di capacità progettuale.

Niente. Noi non abbiamo sentito considerazione critica e riflessiva alcuna e non crediamo di essere i soli. E questo sarebbe il sistema bipolare? Sì, se parlassimo in termini medici, ma di ben altro di tratta. Sappiamo che non esistono strumenti tecnici che risolvono le questioni politiche; tuttavia ci sembra che sia una questione altamente politica cambiare i meccanismi tecnici della medesima poiché quelli elettorali rappresentano il livello più alto.

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