di Pietro Francesco Maria De Sarlo

Spread letteralmente significa divario. Nella accezione, diventata ormai corrente, indica la differenza di rendimento tra i titoli di stato italiani a 10 anni (Btp) e gli equivalenti titoli pubblici tedeschi. In genere è una misura che indica l’apprezzamento differenziale dei mercati tra l’economia italiana e quella tedesca di ripagare i titoli decennali e in qualche modo rappresenta l’apprezzamento differenziale dei mercati sull’operato dei due governi che affrontano in contemporanea le stesse sfide mondiali. Anzi i ‘giornaloni’ lo citano sempre nei momenti di formazione dei governi per esprimerne il gradimento dei mercati.

Con il governo Conte I ci raccontavano il diluvio universale prossimo venturo sull’Italia con lo spread che saliva di qualche decimale. Il 9 novembre 2011 lo spread era a 575, il governo Berlusconi lasciò e arrivò Mario Monti. Lo spread scese a 530 per poi a fine governo atterrare intorno ai 250. Nel durante l’Italia ebbe un abbassamento del rating. Monti si sentì personalmente offeso avendo fatto diligentemente i compitini previsti dalla lettera Draghi-Trichet al governo Berlusconi. Il Conte I all’insediamento ha uno spread di 228,6 e lo lascia a se stesso a 148,3. Il Conte II lo lascia invece, il 13 febbraio 2021, a 89,8 dopo essere stato stabilmente sotto i 120 dall’11 novembre 2020. Il 16 giugno 2022 eravamo a 215.

L’Italia sia con Conte sia con Draghi ha dovuto affrontare emergenze epocali. Il Covid, gestito nella fase iniziale da Conte, ha visto una contrazione dello spread. Se le cose che ci hanno detto i ‘giornaloni’, portatori del Verbo, hanno un senso, i mercati hanno apprezzato l’operato del governo tanto da ridurre lo spread. Draghi ha continuato a gestire la pandemia e in più si è trovato a gestire la guerra. I mercati, sempre ripetendo quello che ci hanno sempre raccontato, pare che non abbiano apprezzato la gestione del governo Draghi.

Ora, io sono solo un povero ingegnere. Qualche tempo fa mi regalarono un libro dal titolo “Gli ingegneri non vivono, funzionano”. Confesso: senza due numeri e un manuale capisco poco o niente. Per gli ingegneri il mondo si divide sempre in due categorie: le cose che funzionano e quelle che non funzionano, le cose che possono essere dimostrate e le fantasie. Ora capisco che l’economia sia una scienza sociale, e quindi opinabile, ma lo spread mi sembra diventato un abito adatto a tutte le stagioni. Una pozione magica che alla bisogna guarisce sempre dalla spiacevole abitudine, di pochi per fortuna, di criticare il governo dei migliori e Draghi. Un bau bau che spaventa tutti i bimbi incoscienti che di questo governo proprio non ne possono più.

Sento in tv fior di giornalisti dire che senza Draghi lo spread sarebbe a 400, almeno. Enrico Letta ci dice che fortuna che c’è Draghi, altrimenti chissà a quanto sarebbe oggi lo spread. Per favore, qualcuno può darne una dimostrazione che possa capire persino un ingegnere e che si basi su fatti e dati certi che non siano solo “Draghi è l’uomo che l’universo mondo ci invidia”? Un minimo di dimostrazione del legame cause-effetto?

Potrei anche sapere perché gli investitori, altrimenti detti “mercati”, dovrebbero investire in Italia su titoli a dieci anni con un modesto spread visto che il Paese è in mano a tre ottuagenari (Mattarella, Amato e Draghi), che tra dieci anni ne avranno novanta, e che non si vede all’orizzonte una leadership di ricambio credibile? Solo a me sembra grottesca questa rappresentazione per cui un Paese in mano ad ottuagenari debba ritenersi fortunato?

L’area Draghi, in cui si è inserito a pieno titolo Di Maio, punta tutto per aver Draghi presidente del Consiglio fino al 2028, e poi chissà quali altre mete per la giovane speranza nostrana! A me pare invece che ci stiamo avviando a un ridicolo crepuscolo brezneviano.

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