di Paola Generali

Stiamo vivendo una periodo storico per l’Italia ma più in generale a livello globale. Le tecnologie sono diventate indispensabili per lo sviluppo socioeconomico del nostro Paese, ma abbiamo un enorme problema: le persone che hanno competenze tecnologiche sono pochissime, il rapporto tra domanda e offerta è di 10 ad 1, le aziende sono in affanno a ricercare risorse ma anche a formarle, infatti nascono all’interno della aziende più strutturate le “Academy” per formare il personale a loro necessario. La problematica è in aumento e dovrebbero essere fatti interventi strutturali del sistema scolastico italiano a partire dalla terza elementare; è necessario presentare le diverse applicazioni delle diverse tecnologie, per poi gradatamente inserire concetti teorici proseguendo naturalmente con le relative applicazioni sino ad arrivare alla scelta della scuola secondaria di secondo grado, in modo più consapevole e con un’apertura mentale che possa permettere di fare scelte più consapevoli rispetto ad oggi.

Stesso discorso vale per la scuola secondaria di secondo grado, dove dovrebbero esserci sempre almeno tre ore di “tecnologie digitali” indipendentemente dall’indirizzo. Le università si stanno evolvendo, collaborando a stretto contatto con le aziende per rispondere in modo puntuale alle loro esigenze formative e costruendo indirizzi di laurea ad hoc collaborando anche con altre università, per creare corsi di eccellenza in ambito “Digitale”. In tutto questo abbiamo anche un altro grande problema: come possiamo formare sul “digitale” le persone non più giovani e le persone diversamente abili, oppure coloro i quali hanno delle difficoltà cognitive? La risposta è semplice, è la tecnologia stessa che ci deve aiutare a formare le persone più fragili sul digitale.

Tra i suoi principi cardine deve avere quello di creare tecnologie che possano fare cose che vadano “oltre”, oltre all’età, oltre alle origini etniche e alla lingua, oltre a patologie cliniche, oltre a problemi cognitivi, oltre al vedere e sentire, oltre al potersi muovere, oltre al poter parlare: questo è uno dei suoi più grandi valori. Questo però vuol dire che il metodo formativo deve evolversi ed essere altamente innovativo, per esempio si può utilizzare l’intelligenza artificiale che deve essere educata a formare una persona anziana con una metodologia dedicata a lui e quindi alle sue esigenze. Posso utilizzare dei robot umanoidi in abbinamento all’intelligenza artificiale per ragazzi e persone autistiche, in quanto si è rilevato che alcuni robot umanoidi – come per esempio Pepper – riescono ad entrare in empatia con loro e li predispongono alla collaborazione, ma anche allo stare insieme in comunità e quindi all’apprendimento.

Questo non significa che l’insegnante viene sostituito da “una macchina”, anzi: l’insegnante deve supportare nello sviluppo delle tecnologie formative che poi diventeranno uno strumento a suo supporto e a supporto per chi deve continuare il percorso educativo ed esercitarsi. Certamente un punto focale ormai imprescindibile è quello che le tecnologie devono essere sviluppate per tutti, perché esse stesse devono rappresentare uno strumento “potente” di inclusione; purtroppo non avviene ancora in modo sistemico ma solamente per volontà di alcuni ed è anche per questo che facciamo fatica a colmare il digital divide. Nell’ambito del Pnrr sono state stanziate moltissime risorse per la formazione, ma dobbiamo pensare con grande lucidità a che tipo di formazione serve al nostro Paese sia dal punto economico che sociale. Se riflettiamo anche solo per qualche minuto, ci rendiamo conto che le persone in età avanzata e le persone diversamente abili sono risorse preziose per il nostro Paese, che possono dare molto se opportunamente tutelate, formate ed integrate all’interno della comunità, portando valore all’interno delle aziende e del contesto sociale: formarle sul digitale è una strada per fare emergere tale valore.

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