È una nuova lista di proscrizione dei putiniani d’Italia, quella stilata – con tanto di foto “segnaletiche” – dal Corriere citando “il materiale raccolto dal Copasir”. Si tratta – specifica il quotidiano – di “un’indagine su tv, giornali, social network per fare chiarezza su un’eventuale minaccia “ibrida” russa che tenterebbe di influenzare il dibattito nei Paesi occidentali con propaganda, disinformazione, fake news”. La “rete filo-Putin”, si legge, “si attiva nei momenti chiave del conflitto, attaccando i politici schierati con Kiev e sostenendo quelli che portano avanti le tesi favorevoli alla Russia”, e “tenta di orientare, o peggio boicottare, le scelte del governo”.
Ma oggi il presidente Adolfo Urso (FdI) ha smentito che i nomi pubblicati siano mai stati sottoposti all’attenzione dell’organo: “La lista l’ho letta sul giornale, io non la conoscevo prima. Noi abbiamo attivato un’indagine alla fine della quale, ove lo ritenessimo, produrremo una specifica relazione al Parlamento”. E ricorda: “Che esista una macchina della disinformazione e della propaganda che agisce da almeno dieci anni non lo dico io, ma istituzioni del Parlamento europeo”. Subito dopo si unisce l’ex presidente (e attuale membro del Copasir in quota Lega) Raffaele Volpi: “Leggo sconcertato di attività del Copasir che non rispondono a verità. Il Comitato a cui mi onoro di appartenere non ha avuto, non ha visto né tantomeno redatto liste di nomi di influencer e opinionisti ascrivibili a vicinanze con la Russia”. Più tardi Urso fa sapere di “aver ricevuto solo questa mattina un report specifico che per quanto ci riguarda, come sempre, resta classificato“. È da lì che vengono i nomi del Corriere? Urso nega: “In merito a quanto riportato da alcuni organi di stampa, il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica rileva di non aver mai condotto proprie indagini su presunti influencer”, fa sapere.
Tra le decine di personaggi chiamati in causa dal quotidiano molti tacciono, ma c’è anche chi non ci sta. Ad esempio il senatore Vito Petrocelli, cacciato dalla presidenza della Commissione Esteri per l’infelice tweet in cui scriveva “Buona festa della liberaZione”, evidenziando la Z simbolo dell’invasione. “Ormai nel nostro Paese c’è un neo-maccartismo dilagante, che continua a crescere e non credo si fermerà”, dice interpellato dall’AdnKronos, dichiarandosi “non sorpreso” della citazione. Il quotidiano lo tira in ballo per la mobilitazione in suo favore di presunti “attivisti filo-Putin” che hanno lanciato una campagna social e un mail bombing verso il Senato nei giorni delle polemiche. “Erano indirizzi mail con nome e cognome di chi mandava quella mail e condivideva un appello”, commenta lui. “In alcuni casi c’erano anche le città di provenienza. Non credo fossero profili finti o hacker. Del resto non è la prima volta che succede. Ci fu una analoga campagna di mail bombing sulla proposta del Pd sullo Ius soli, anche in quel caso durò alcune settimane”, ricorda.
Della “rete complessa e variegata” che “allarma gli apparati di sicurezza”, secondo il Corriere, fa parte anche Alessandro Orsini, professore alla Luiss e collaboratore del Fatto, falsamente indicato come “licenziato” dall’ateneo “dopo il clamore suscitato dalle sue apparizioni televisive” (in realtà è stato soltanto chiuso l’Osservatorio sulla sicurezza da lui diretto). Dal nostro giornale Orsini ha annunciato di voler fare causa al quotidiano di via Solferino. Citato anche Alberto Fazolo, economista e giornalista pubblicista che ha combattuto per due anni accanto ai filorussi in Donbass, spesso ospite di Massimo Giletti su La7: è accusato di aver sostenuto, su Facebook, che l’alto numero di giornalisti uccisi negli ultimi anni in Ucraina sia “correlato alla presenza di formazioni paramilitari di matrice neonazista“. “Compassione per i servizi d’inteligence costretti a fare certe cialtronate“, commenta lui su Twitter. E Maurizio Vezzosi, freelance 32enne “colpevole” di invitare il pubblico “a informarsi non rimanendo alle notizie in superficie”, che parla di “goffo tentativo di delegittimazione a ogni costo”.
Il Corriere però non demorde e lunedì torna sul tema con un pezzo in cui analizza i contenuti della “campagna di disinformazione” del ministero degli Esteri di Mosca, che – scrivono Monica Guerzoni e Fiorenza Sarzanini – ha due obiettivi: denunciare la “russofobia” e “dimostrare che le sanzioni contro la Russia danneggiano soprattutto i Paesi che le applicano”. Su quest’ultimo punto si legge che “negli ultimi giorni la tesi accreditata più dalla rete filorussa è (…) che l’Ue è la vera vittima delle misure contro la Russia”, cioè il “cavallo di battaglia” della portavoce del ministero degli Esteri russo Maria Zakharova, che ha avvertito come “per la mancanza di materie prime russe molti produttori di carta, vetro, cosmetici potrebbero dover chiudere”. E per dimostrare che si tratta di “notizie false per scopi di propaganda” si citano un paio di “appartenenti al circuito della disinformazione” che rilanciano messaggi simili. Se fosse così però forse il Corriere dovrebbe denunciarsi da solo: il giorno prima pubblicava un editoriale di Sergio Romano dal titolo “Gli effetti indesiderati delle sanzioni in un mercato interconnesso”, in cui si dice, tra le altre cose, che le misure contro Mosca sono “destinate a danneggiare contemporaneamente le aziende e i singoli operatori che con la Russia hanno importanti scambi commerciali”. E che “l’Italia, tra questi, ha sempre avuto una posizione privilegiata”. Putniano anche lui?