“Dall’inizio della guerra i soldati russi si stanno macchiando di violenze sessuali sistematiche e crudeli. Nell’oblast di Kherson sono state violentate due ragazze di 12 e 15 anni. E una bimba di 6 mesi è stata violentata con un cucchiaino da tè”. Lyudmila Denisova, ex commissaria ucraina per i diritti umani, scriveva questa comunicazione sul suo canale Telegram lo scorso 23 maggio. Una settimana prima del suo singolare licenziamento, deciso dalla Verkhovna Rada, il Parlamento di Kiev. In 234 hanno votato contro la commissaria. L’accusa, in sintesi, è di un’attenzione quasi morbosa per le violenze sessuali, a discapito di altre problematiche della guerra come i corridoi umanitari.

Pavel Frolov, parlamentare del partito del presidente Servitore del popolo, ha spiegato così la decisione di sfiduciare la commissaria per i diritti umani: “Sfortunatamente la signora Denisova dall’inizio del conflitto ha portato avanti con fatica i suoi doveri nell’organizzazione di corridoi umanitari, nella protezione e scambio di prigionieri, nell’opposizione alla deportazione di adulti e bambini dai territori occupati”. Frolov, inoltre, ha accusato Denisova di “un’incomprensibile attenzione a dettagli di crimini sessuali e stupri di bambini nei territori occupati, che non sono stati provati”. Secondo il parlamentare questo atteggiamento ha finito per “danneggiare l’Ucraina, distogliendo l’attenzione dei media internazionali dai reali bisogni del Paese”.

Sembrerebbe che nella decisione della Verkhovna Rada ha giocato un ruolo importante l’appello contro la commissaria firmato da circa 90 giornalisti e altre 50 figure tra insegnanti, psicologi e avvocati. Nell’appello, presentato il 25 maggio, si chiedeva a Lyudmila Denisova di diffondere informazioni solo sui casi di violenze sessuali di cui sono state raccolte “prove sufficienti” e di “prestare attenzione a ogni parola usata per evitare dichiarazioni sensazionalistiche”. “Le violenze sessuali durante la guerra sono una tragedia per le famiglie. Si tratta di un argomento difficile e traumatico e non di un tema da pubblicare nella cronaca rosa. Bisogna ricordare lo scopo: richiamare l’attenzione ai fatti del reato”, si legge nell’appello pubblicato da Detector Media.

Nella lettera, non si chiedono le dimissioni della commissaria, ma, pochi giorni dopo la pubblicazione, la stessa Denisova ha fatto sapere che il Parlamento era pronto a sfiduciarla. La commissaria, poi, ha contestato la decisione della Verkhovna Rada definendola una “violazione della Costituzione, delle leggi dell’Ucraina e degli standard internazionali”. Sul suo canale Telegram, si è detta pronta a presentare “ricorso in tribunale contro la decisione”. Il licenziamento della commissaria si è trasformato subito in una nuova battaglia nella guerra di informazione, che dal 24 febbraio si sta combattendo in modo feroce e parallelo al conflitto sul campo. In Russia il caso Denisova, infatti, è diventato strumento di propaganda utile a dimostrare “le bugie ucraine contro i militari russi”. Marija Zacharova, portavoce del ministro degli Esteri, ha già preteso le “scuse per le bugie di Denisova”.

“Tutti quei media occidentali, quei giornalisti, quegli attivisti, quelle organizzazioni che hanno citato Denisova per sostenere accuse infondate ora hanno intenzione di rettificare e chiedere scusa?”, ha chiesto Marija Zacharova, come riportano diversi media russi. Rossijskaja Gazeta definisce Denisova “colei che diffondeva fake news contro i soldati russi”. Per Ura.ru la commissaria è stata allontanata per aver “diffuso notizie false sull’operazione speciale della Federazione russa”.

Le parole più dure sono state usate da Vesti.ru che ha scritto: “È andata via la leggenda dell’arte ucraina del fake, L’artefice di storie propagandistiche Lyudmila Denisova è stata licenziata. Le sue fake news sono state ritenute eccessive persino dalla Verkhovna Rada”. Vesti.ru poi riporta una serie di esempi di notizie false che sarebbero state diffuse da Denisova come “la storia che i soldati russi preparavano il holodez (piatto tipico russo ndr) con il sangue dei neonati ucraini” e “somministrano ai prigionieri una pozione che li costringeva a parlare russo e a cantare l’inno di Mosca”. Ma, come fa notare l’indipendente Insider.ru, queste dichiarazioni non sono mai state rilasciate dall’ormai ex commissaria, ma inventate “proprio da Vesti.ru” ai fini di una propaganda contrapposta a quella di cui è accusata la stessa Denisova.

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