Clamoroso: Biden è filo Putin! Il sillogismo finora imperante in Italia è che se qualcuno mette in discussione l’adesione totale e incondizionata alle richieste dell’aggredita Ucraina, riassunte nello slogan “Armi, armi, armi”, allora è dalla parte della Russia. Tale logica consacra chiunque esprima anche una sola perplessità come seguace a tutti gli effetti di Putin, e fa sì che possa venire ignominiosamente additato. Ora scopriamo che Biden si è rifiutato di consegnare razzi di un certo tipo a Zelensky (anche se nelle ultime notizie sembra in parte ricredersi) oltre a rifiutare la no-fly zone. Per lo stesso sillogismo prima descritto, allora, anche Biden è un pericoloso filo Putin. Capite che il percorso logico prima enunciato è una grande cavolata, frutto di una tifoseria esasperata dei commentatori italiani che vanno per la maggiore e che apostrofano come cattivi e amici di Putin tutti coloro che osano pronunciare qualsiasi commento che metta in dubbio la santità dei dirigenti ucraini.

“Vorrei che la Russia e Putin scomparissero dalla faccia della terra”! Una signora non sopporta il dittatore, la faccia rotondeggiante, frutto del lifting o degli ormoni, il suo fare riferimento alle armi atomiche. La Signora vorrebbe zittirlo, che qualcuno lo uccidesse, spegne appena lo vede in tv e cerca di pensare ad altro perché l’idea di una guerra nucleare la terrorizza.

In questi giorni il Milan ha vinto lo scudetto, la Roma la coppa Conference league, recentemente l’Inter ha vinto la coppa Italia. I tifosi vedono benevolmente le decisioni arbitrali a loro favore e si indignano per ogni provvedimento contrario alla loro squadra. Anche qui si ipotizzano complotti e connivenze. Quando la propria squadra vince si determinano reazioni spropositate, con festeggiamenti oltremisura. In politica le tifoserie sono la prassi, per cui provvedimenti, palesemente indifendibili, se sono stati decisi dal nostro partito sono considerati sempre positivamente, mentre siamo portati a pensare il contrario per ogni frase o presa di posizione dell’avversario. A volte, per questo eccesso di tifoseria, nel nostro paese occorre chiamare qualcuno che appaia super partes come attualmente dovrebbe essere Draghi. Peccato che poi le tifoserie riemergano. A tale proposito, sentivo per caso alcuni giorni fa che alla Camera dei deputati il condizionatore era a 20 gradi e i deputati, pur in giacca e cravatta, avevano quasi freddo. La logica “condizionatore contro pace” non vale dunque per i nostri rappresentanti?

Cos’è il tifo? Partiamo da una premessa: tutti, volenti o nolenti, immancabilmente tifiamo. Anche se non ce ne rendiamo conto e professiamo sincera fede di essere imparziali. In realtà siamo inconsciamente di parte con le nostre emozioni e, soprattutto, con la componente istintiva. L’istinto di autoconservazione ci porta ad aderire a un gruppo perché nella storia della nostra specie questa partecipazione a una setta, categoria, classe, comunità, popolo ha sempre portato un vantaggio evolutivo, rispetto all’individualismo. Esiste una prova scientifica di questa regola, scaturita dalla risonanza magnetica attuata su gruppi di persone, alcune tifose di una parte, altre del suo contrario e alcune “apparentemente” neutrali. In questi studi si vede che, accanto all’attivazione per tutti di parti del cervello deputate alla visione, si mettono in moto zone legate alle emozioni. Queste sono diverse in base alla tifoseria di appartenenza.

Insomma, in parole povere, se facessi vedere la sequenza di un gol “dubbio” ai tifosi della Juventus o ai tifosi avversari, capirei dalle risposte cerebrali, senza saperlo in anticipo, a quale tifoseria appartengono. Personalmente sono stato tifoso di un club calcistico solo per gli anni delle elementari, quando era prassi appartenere all’una o altra squadra. Scelsi di tifare per una certa squadra perché due amici facevano parte di quel gruppo. Negli anni, non mi sono più interessato di calcio e, sinceramente, ora mi affascina solo come fenomeno psicologico collettivo. Se però la squadra che tifavo da piccolo vince, sono più contento che se perde. Anche se non vorrei provare questa emozione, che è assolutamente irrazionale, la avverto. Questa squadra non è del luogo in cui vivo, ha cambiato negli anni innumerevoli giocatori e proprietari, non mi porta alcun vantaggio se vince, eppure si vede che è ancora in piccola parte nelle mie emozioni. Allo stesso modo questo meccanismo si determina per molte altre questioni piccole o grandi in cui a volte, senza rendermene conto, tifo per una o l’altra parte.

Anche nella guerra, è tragico ammetterlo, inconsciamente tifiamo e il nostro giudizio, apparentemente razionale, tende ad essere influenzato da questa emozione più o meno nascosta. Spesso può succedere che il nostro primo impulso, emotivo e istintivo, venga ammantato di razionalità (tanto delle ragioni si trovano sempre) per essere presentato in una veste accettabile agli altri e farci apparire “ragionevoli e gran pensatori”.

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