Seri problemi incombono sulla Rai. Si prospettano infatti pesanti cali per le due sue risorse, la pubblicità (copre il 21% del totale dei ricavi) e il canone (il 73%).

In Parlamento è in discussione la possibilità di effettuare un taglio consistente degli affollamenti pubblicitari, cioè la quantità di messaggi trasmissibili, con una perdita stimata in circa 150 milioni. Un altro problema riguarda la fonte principale di ricavo, il canone di abbonamento. La legge n. 208/2016 aveva ancorato il pagamento del canone di abbonamento al contratto per l’energia elettrica, nella supposizione dell’esistenza di un apparecchio radiotelevisivo quando c’è un’utenza elettrica nel luogo della residenza anagrafica. Questo metodo aveva quasi azzerato l’elevato abusivismo, che toccava circa il 30-35%. L’aumento degli abbonati, determinato dal nuovo metodo, ha permesso anche di ridurre l’entità del canone unitario, che scese a 100 euro per poi stabilizzarsi a 90 dal 2017. Va ricordato che l’aumento del gettito, che tale operazione aveva comportato, non si riversò del tutto alla Rai ma fu assorbito in parte dallo Stato (per finanziare anche il bonus di 80€ del 2015).

Questa modalità deve essere cambiata perché l’Europa impone di eliminare gli oneri impropri dalla bolletta dell’energia elettrica. Cosa succederà dal 2023?

Si potrebbe ritornare al vecchio sistema, che manifestava però falle sul tema dell’accertamento e del recupero dell’abusivismo e della morosità. Si rischierebbe inoltre un aumento del canone unitario. Una delle ipotesi presa in considerazione è quella del pagamento attraverso il 730, un’altra è quella del finanziamento annuale da parte dello Stato.

Queste ultime ipotesi rischiano però di cambiare la “natura” della Rai. L’idea portante che sorregge il servizio pubblico è che esso sia gestito da un’impresa pubblica e non da un apparato della pubblica amministrazione. Legare il finanziamento della Rai alla fiscalità generale trasformerebbe il “servizio pubblico” in un “servizio di stato”. Si dirà che la questione è puramente formale, invece non è così. Immaginiamo solo, per esempio, le trattative fra i partiti quando si discuterà in Parlamento il quantum da dare alla Rai. Il governo deciderà il destino della Rai. Si dice sempre di allontanare la politica dalla Rai, invece la Rai diventerebbe una direzione del ministero dell’Economia. Una anomalia che porrebbe, per esempio, delicate questioni sulle stesse responsabilità ed autonomie gestionali degli amministratori e di chi lavora in Rai a tutti i livelli.

Il canone di abbonamento è una tassa, come tale dovrebbe essere pagata evitando la solita evasione, per esempio ancorandola all’abitazione. Allo stesso tempo la Rai potrebbe fare offerte editoriali a pagamento, come una pay vera e propria, per alcuni canali specializzati, come RaiNews24 o RaiYoyo, mentre l’affollamento pubblicitario dovrebbe tenere conto della tipologia dei programmi. Insomma, bisognerebbe rimodulare l’organizzazione della Rai secondo le vocazioni editoriali.

La soluzione, volendo, si può trovare. La questione è legata alla volontà di mantenere in vita il servizio pubblico. In Italia è alto il disamore per la Rai, nonostante il canone nettamente più basso rispetto agli altri paesi europei; quindi, qualche responsabilità non può che essere imputata alla stessa Rai. Vince negli ascolti, ma poi vince anche nelle critiche negative. La gestione delle due emergenze, la pandemia e la guerra in Ucraina, ha lasciato molto a desiderare.

Ci sarà tempo per discutere sul futuro della Rai. Al momento, nella tragedia della guerra in Ucraina, il compito della Rai dovrebbe essere quello di costituire un baluardo utile a limitare le strane interferenze sul nostro debole sistema informativo. Si dirà che anche la Rai si distingue in alcuni casi, pur sempre limitati, per prese di posizione fuori logica, posizioni che stravolgono la realtà, scelte utili solo ad alimentare polemiche per avere qualche ascoltatore in più. C’è però una differenza sostanziale: il privato è libero di scegliere qualsiasi linea editoriale, sarà il pubblico a giudicarlo; la Rai ha tali controlli, interni e non ultimi quelli dell’opinione pubblica, che limitano eventuali fughe di singoli programmi verso la sistematica faziosità.

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