Se chiudete gli occhi e pensate ad un’immagine simbolo degli anni Settanta, quale per prima vi balza in mente? Potrebbe essere quella dell’uomo con il volto coperto da un passamontagna che impugna la pistola puntandola di fronte a sé nel mezzo di una strada cittadina sconvolta dai tumulti. O quella di una e più donne che uniscono le mani a triangolo sopra la testa durante una manifestazione di piazza, con l’espressione di una risoluta determinazione in volto. La mano armata, le mani giunte nel gesto femminista: due icone dell’immaginario che alludono a storie e percorsi di quegli anni di tumultuoso cambiamento. Potrebbe non essere un caso che nelle successive cancellazioni e riscritture della memoria il segno della violenza armata sia, forse, quello che ha lasciato il marchio più profondo. E che l’altro, quello della rivoluzione sessuale, resti più sbiadito, sebbene nel corso dell’ultimo decennio una nuova ondata di femminismo lo abbia riportato a galla.

Chi ha lavorato incessantemente contro l’oblio è stata Lea Melandri, protagonista del femminismo degli anni Settanta, che da allora non ha smesso di testimoniare la vitalità e il potenziale di una pratica che fu per molte l’esperienza più significativa di quel periodo: l’autocoscienza. Una pratica di parola, finalizzata a rovesciare l’ordine politico attraverso lo scandaglio collettivo delle esperienze individuali. Sbaglia chi, venuta dopo, si immagina che la violenza fosse la cifra caratteristica di quegli anni. Protagonista fu, invece, la parola scambiata nello sforzo estremo di dirsi la verità sulle miserie del vivere da sottomesse: all’uomo, al padrone, al capitale. La parola che apriva conflitti, ma non armati, fu la linfa della spinta rivoluzionaria e non solo per le donne. Ed è su questa pratica che Lea Melandri ha sviluppato il suo pensiero teorico, attualizzandola in un susseguirsi di laboratori in cui la scrittura viene proposta come mezzo per attivare il pensiero in rapporto all’esperienza. «Quella che definisce “scrittura di esperienza” – è scritto nella biografia curata da Annamaria Tagliavini per il sito enciclopediadelledonne.it – interroga innanzitutto il pensiero, il suo radicamento nella memoria del corpo, nelle sedimentazioni profonde che hanno dato forma inconsapevolmente al nostro sentire. In quelle zone remote e “innominabili”, la storia particolarissima di ogni individuo incontra comportamenti umani che sembrano eterni, immodificabili, uguali sotto ogni cielo».

Il sito www.archiviodilea.it è una raccolta della produzione più recente di Lea Melandri, quella degli ultimi vent’anni (l’archivio cartaceo dei documenti prodotti negli anni precedenti è conservato alla Fondazione Elvira Badaracco di Milano). Organizzato in quattro percorsi – femminismo, scritture, incontri, formazione – il sito è descritto da Melandri come «una sorta di autobiografia e, al medesimo tempo, la memoria collettiva di un movimento destinato a cambiare alla radice il dominio millenario di un sesso solo». Si tratta perlopiù di articoli, interviste o registrazioni video di suoi interventi, disponibili sul web e raccolti in ordine.

L’Archivio di Lea online, che è stato presentato mercoledì 11 maggio al Centro di documentazione e studi delle donne di Cagliari, nasce per iniziativa di un gruppo che si è consolidato intorno a un progetto duplice: un archivio online, appunto, e un vitalizio. Da un lato, come scrivono le promotrici, con l’obiettivo di «garantire continuità, approfondimento, riattualizzazione alle teorie e pratiche del femminismo degli anni Settanta, di cui il percorso di Lea è testimonianza tangibile». Dall’altro, un’azione di mutualismo volta a fornire a Lea un supporto economico mensile: «è il riconoscimento del grande contributo che Lea ha dato e dà a tutte noi, al pensiero femminista, alla libertà di donne e uomini da stereotipi e ruoli». Un’azione mutualistica rivendicata come «politica», a cui si può contribuire seguendo le istruzioni segnate sul sito alla pagina “progetto”.

Nata nel 1941 in una famiglia di mezzadri romagnoli, quello di Lea Melandri è stato un percorso di emancipazione attraverso il lavoro intellettuale, ma è stato anche un cammino di coerenza a partire dall’incontro con il femminismo, nei primi anni Settanta, che per Lea come per molte altre ha voluto dire impegnarsi in un percorso di progressiva destrutturazione dei ruoli interiorizzati, a partire dalle complicità delle donne con il sistema che le opprime. Anche in virtù di questa ricerca, Lea è tornata ripetutamente sulla scena che ha plasmato le prime esperienze infantili, facendone materia di scrittura attraverso un percorso di ricerca in cui l’inconscio e la ragione siano complici nella scoperta.

Articolo Precedente

Roberto Dipiazza, il sindaco Fi di Trieste nega le molestie degli alpini all’adunata di Rimini: “Solo apprezzamenti, siamo maschi”

next
Articolo Successivo

L’utero è mio e lo gestisce Giorgia

next