“Il fatto non sussiste”. E’ questa la formula seguita dal gup di Milano Chiara Valori per prosciogliere Attilio Fontana e altre quattro persone dall’accusa di frode in pubbliche forniture. La vicenda è quella del cosiddetto “caso camici” cioè l’affidamento – nell’aprile 2020 – da parte della Regione di una fornitura, poi trasformata in donazione, da circa mezzo milione di euro in cambio di 50mila camici e 7mila dispositivi di protezione a Dama, società di Andrea Dini, cognato del governatore Fontana. Anche per Dini il gup ha stabilito il non luogo a procedere. Con lui sono stati prosciolti Filippo Bongiovanni, ex dg di Aria Spa, la centrale acquisti di Regione Lombardia, la dirigente della società Carmen Schweigl e Pier Attilio Superti, vice segretario generale di Regione Lombardia.

Dopo la notizia del proscioglimento Fontana si è detto “felice e commosso“, parlando coi suoi legali Jacopo Pensa e Federico Papa. “La situazione non aveva nessuna sfumatura penalisticamente rilevante, ci auguravamo di trovare un giudice che lo riconoscesse. Era palese la buonafede di tutti, compreso di Dini che ha ammesso di aver interrotto la fornitura. Il presidente non ha commesso nessun reato”, è il commento di Pensa. “Sono molto soddisfatto per il provvedimento, perché rende finalmente giustizia al dottor Dini e certifica che egli ha agito sempre animato dalle migliori intenzioni e unicamente con il proposito di dare una mano alla Regione Lombardia, in un momento di estrema difficoltà. Non avevo alcun dubbio che un attento esame della vicenda avrebbe consentito di riconoscere la correttezza dell’operato del Dottor Dini”, dice invece l’avvocato Giuseppe Iannacone, difensore del titolare della Dama, insieme agli avvocati Caterina Fatta e Riccardo Lugaro.

Per tutti gli imputati la procura di Milano – rappresentata dai pm Paolo Filippini e Carlo Scalas e dal procuratore aggiunto Maurizio Romanelli aveva chiesto il rinvio a giudizio nel dicembre scorso. L’inchiesta era stata chiusa nel luglio del 2021. Da questa vicenda era nata anche un’altra inchiesta, archiviata a febbraio su richiesta degli stessi pm, che vedeva il governatore Fontana indagato per autoriciclaggio e falso in relazione alla voluntary disclosure di 5,3 milioni di euro depositati su un conto alla banca Ubs di Lugano (sottoposti a scudo fiscale nel 2015) e in particolare su parte di quel denaro, 2,5 milioni, che gli inquirenti ritenevano frutto di evasione fiscale. Fontana ha sempre sostenuto che la somma regolarizzata sette anni fa fosse un lascito ereditario della madre. Per dimostrarlo, a metà maggio scorso, i suoi difensori avevano depositato documentazione bancaria relativa ai conti svizzeri a partire dal 1997, sostenendo che non c’era stato alcun versamento in contanti ma che si trattava di denaro investito in titoli, fondi e altro riconducibili proprio alla madre. La richiesta di archiviazione era stata inoltrata al gip dopo che la Svizzera non aveva ottemperato a una rogatoria inviata a marzo del 2021 e sollecitata dalla Procura a settembre.

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