Una settimana di passione. Questo si prevede in Sicilia con l’apertura, lunedì, della discussione sulla finanziaria all’Assemblea siciliana, da approvare al fotofinish (entro mercoledì), mentre gli animi nel centrodestra si fanno sempre più agguerriti. Il clima politico si arroventa, infatti, per l’ennesimo attacco sferrato da Gianfranco Micciché, il forzista presidente dell’Assemblea siciliana, contro Nello Musumeci, presidente della Regione. “Un fascista catanese”, indegno di una città come Palermo “troppo nobile e intellettuale”, queste, in sintesi, le parole di Miccichè – in un’intervista rilasciata domenica a La Stampa – che hanno infiammato il clima politico isolano dopo pochissimi giorni di quiete.

Pareva, infatti, che il centrodestra avesse trovato una convergenza in nome della vittoria alle Comunali di Palermo. Ma è troppo tardi, forse, per sopire i conflitti alimentati nella lunga fase dei coltelli, quando ogni partito aveva schierato il suo candidato alla guida del capoluogo e nessuna sintesi pareva possibile. Il vero scontro d’altronde era sulle Regionali e, in particolare, sulla ricandidatura di Musumeci. E su questo fronte nessuno accordo è stato raggiunto. Anzi, domenica Micciché ha dato conferma che la convergenza su Lagalla – come aveva scritto ilfattoquotidiano.it – è avvenuta anticipando l’ulteriore tavolo, proprio per non cedere ad un accordo sulle Regionali con Fdi: una “mossa del cavallo” suggerita da Silvio Berlusconi. Un vero e proprio fuoco di fila presto rinnegato dallo stesso Micciché, che ha smentito l’intervista: “Quei toni non mi appartengono”.

Lo ha scritto e lo ha anche ribadito al telefono sia a Musumeci che a Ignazio La Russa, delegato da Giorgia Meloni all’affaire Sicilia. “Incompatibile col ruolo che riveste”, ha subito tuonato Gaetano Armao, vice di Musumeci, assessore al Bilancio, e membro dell’ala filogovernativa di Forza Italia che poche settimane fa aveva provato a detronizzare Micciché. Nonostante la smentita, infatti, le dichiarazioni del forzista hanno dato fuoco alle polveri, e con un tempismo rischiosissimo, visto che l’Assemblea farà un tour de force fino per arrivare all’approvazione della finanziaria entro mercoledì in un clima da resa dei conti. Una legge di Bilancio, peraltro, che approda in aula, dopo il vaglio della commissione presieduta dal forzista Riccardo Savona, rinviato a giudizio assieme alla moglie e alla figlia, con l’accusa di avere creato un vero e proprio sistema per truffare la Regione. “Tutto si chiarirà”, ha detto Savona che resta al suo posto nel silenzio di molti.

“La Sicilia non può permettersi di continuare ad affidare la commissione Bilancio ad un imputato di accuse molto gravi come quelle che pendono sulla testa del deputato di Forza Italia, specie alla vigilia dell’approvazione dell’ultima legge di stabilità di questa sciagurata legislatura”, così parlano i Cinque Stelle. Mentre il centrodestra si dilania su questioni elettorali che promettono di riflettersi sul voto alla finanziaria nei prossimi giorni. Già lo scorso gennaio, in Aula, il presidente della Regione aveva subito lo smacco dai suoi, risultando solo terzo nella votazione per i delegati all’elezione del presidente della Repubblica. Fu solo il primo atto di una resa dei conti, dopo oltre 4 anni di governo. Un braccio di ferro tra Miccichè e Musumeci, consumatosi da allora spesso a suon di interviste. Nell’ultima di domenica Micciché sostiene siano, però, in tanti a non volere la ricandidatura del presidente uscente: “Cuffaro e Lombardo sono pronti ad andare col Pd, se c’è Musumeci”, che non vorrebbero “neanche i suoi”, ha detto. Un Miccichè scatenato che ha pure sottolineato come il suo stesso padrino politico Marcello Dell’Utri “non conta più niente”.

Dichiarazioni al vetriolo che non hanno trovato appoggi. Anzi, ad invitarlo a non “insultare il presidente” e a “non picconare il centrodestra” è stato in primis Raffaele Lombardo. “Assolutamente no”, ha risposto, invece, Cuffaro a proposito della possibilità di un accordo col Pd, nel caso di una candidatura con Musumeci: “Tra l’altro non credo vogliano me e la Dc”, ha aggiunto. Resta totalmente in silenzio, invece, Dell’Utri, che tornato a Palermo negli scorsi mesi, dopo avere scontato la condanna per concorso esterno alla mafia, aveva incontrato i vertici del suo partito e lo stesso Musumeci, nel noto Hotel delle Palme. Aveva pure dato il suo sostegno alla candidatura di Roberto Lagalla, pure questa osteggiata da Miccichè che dopo settimane a muso duro ha infine ceduto al sostegno al candidato sostenuto da Dell’Utri. Una mossa del cavallo voluta da Berlusconi? Intanto la ricandidatura di Musumeci ha, di sicuro, il placet di Dell’Utri. Che però non conta più niente. Parola di Miccichè.

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