Esattamente un anno fa il tribunale gli aveva dato ragione, sostenendo che potesse coltivare cannabis terapeutica in casa. Lo aveva fatto perché la quantità non bastava la quantità riconosciutagli a scopi curativi e spesso l’approvvigionamento aveva tempi lenti rispetto alle sue necessità. Una battaglia di civiltà, quella di Walter De Benedetto, disabile aretino di 50enne, morto nelle scorse ore. L’annuncio è stato dato tramite la sua pagina Facebook. De Benedetto era affetto da artrite reumatoide, una malattia rara neurodegenerativa e altamente invalidante, e da anni si batteva per una causa che riguarda migliaia di persone in Italia che soffrono di malattie neurodegenerative, compreso il declino cognitivo.

La vicenda giudiziaria era iniziata nel 2019 con un l’arrivo dei carabinieri nella sua casa: durante il sopralluogo era stata scoperta una serra all’interno della quale De Benedetto coltivava la cannabis, usata poi per affievolire le sofferenze causate dalla malattia. Il 49enne, che non aveva mai fatto uso di sostanze stupefacenti se non per lenire le sofferenze legate all’artrite reumatoide, aveva spiegato di battersi “anche per tutti coloro che vivono nelle mie stesse difficoltà” proprio perché “è stato affermato il principio del diritto di cura con la cannabis a solo scopo terapeutico”. “La prima volta mi parlava del suo fine vita. Si è poi battuto contro la violenza di uno Stato che l’ha processato per la cannabis. Ha vinto la battaglia ma non abbiamo fatto in tempo a vincere con lui per la legge. Andiamo avanti. Grazie Walter”: così lo ricorda sui social Marco Cappato, da anni in prima linea per la legalizzazione della cannabis e il fine vita.

La sentenza di assoluzione nei suoi confronti è stata la prima inquadrata nella nuova normativa che disciplina la produzione di cannabis in Italia a scopo terapeutico. Durante la fase d’inchiesta – chiusasi con una richiesta di archiviazione da parte dello stesso pubblico ministero – De Benedetto si era rivolto anche al presidente della Repubblica Sergio Mattarella ricordando di essere stato “costretto a violare la legge per non soffrire”. Nel suo appello rivolto al Quirinale aveva chiesto: “Dov’è il Parlamento? Mi rivolgo a lei perché un anno fa ho provato a rivolgermi alle istituzioni, venendo fino a Roma in un viaggio per me faticoso, ma pieno di speranza”.

Nel suo ultimo appello al Parlamento, lo scorso 17 marzo, aveva scritto: “Ci sentiamo scoraggiati perché sembra che il nostro Stato preferisca lasciare 6 milioni di consumatori nelle mani della criminalità organizzata anziché permettergli di coltivarsi in casa le proprie piantine”. E concludeva, come sempre, ricordando a tutti che “Il dolore non aspetta”. Antonella Sodo, coordinatrice della campagna Meglio legale che lo scorso anno ha seguito il processo di De Benedetto, ricorda: “Con il suo coraggio è riuscito a portare il tema della cannabis terapeutica, e di tutte le difficoltà in cui incorrono i pazienti che ne fanno uso, all’attenzione dell’opinione pubblica. È stato costretto a fare una cosa che nessun paziente dovrebbe fare: rendere pubblico il suo dolore”. Da “vero leader gentile”, continua Sodo, ha “fatto della sua sofferenza una battaglia di e per molti”.

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