“Oggi consacriamo la nostra indipendenza energetica”: tutti in questa Europa alla canna del gas vorrebbero poter dire lo stesso, per esorcizzare l’imbarazzante dipendenza da Mosca. Ma per il momento, questo mantra dei desideri Ue si è recitato solo in un piccolo villaggio lituano che si chiama Jauniuai e che ha appena 165 abitanti, nel distretto di Sirvintos della contea di Vilnius. È successo il 5 maggio, undicesimo giovedì di guerra in Ucraina, in occasione dell’inaugurazione ufficiale del nuovo gasdotto GIPL (Gas Interconnection Poland-Lithuania), capace di trasportare circa due miliardi di metri cubi di gas: “Con questa opera noi rafforziamo la nostra resistenza alle pressioni politiche”, ha sottolineato Gitanas Nauseda, presidente della Lituania, rivolgendosi agli ospiti polacchi, lettoni, estoni e finlandesi. La resilienza dei paesi baltici, per esempio, è ben nota: hanno smesso di importare il gas russo fin dall’inizio dello scorso aprile, disponendo di riserve stoccate in depositi sotterranei.

In verità, la decisione di realizzare il gasdotto non ha nulla a che vedere con la guerra in Ucraina, non è un gesto legato alle contingenze belliche, bensì una vecchia scelta strategica: i cantieri sono stati aperti nel 2020. Però, oggi più che mai, acquista un valore di grande significato, è un passo in più verso l’indipendenza energetica della Lituania e, in minore misura, della Polonia, in quanto le assicura una fonte di energia alternativa che potrà coprire il 10 per cento del fabbisogno (attualmente, Varsavia utilizza 21 miliardi di metri cubi di gas l’anno). Ma è pure un deciso messaggio a Putin, come, in un altro senso, lo è agli alleati europei: “Si può fare”. Il gasdotto GIPL, costato 500 milioni di euro (finanziati in gran parte dall’Unione europea) è lungo 508 chilometri, dei quali 165 in Lituania e 343 in Polonia, raggiungerà la piena capacità ad ottobre, potrà essere connesso, grazie alla rete del gas esistente, anche in Lettonia, Estonia e Finlandia.

Non a caso, alle orgogliose parole di Nauseda hanno fatto eco quelle di Andrzej Duda, il presidente polacco: “Questo gasdotto interconnettore costituisce una risposta al ricatto energetico che Mosca esercita sull’Europa”. Tanto per non dimenticarlo, lo scorso 27 aprile la Gazprom ha chiuso i rubinetti del gas verso la Polonia e la Bulgaria, lasciando planare sui partners la minaccia di fare lo stesso agli altri clienti europei: chiaro tentativo della Russia di dividere l’Ue, ma anche un boomerang. Il governo polacco ha già pronto un piano per “derussificare” l’economia e aggirare il ricatto del gas di Mosca: il governo ha infatti stanziato 636 milioni di euro nella società statale Gaz-System che costruisce e sfrutta non solo i gasdotti ma anche i terminali rigassificatori del porto di Swinoujscie, nell’ovest del paese, la cui capacità è ora di 7,5 miliardi di metri cubi l’anno.

La compagnia polacca riceveva dalla Russia circa 9 miliardi di metri cubi (il 45 per cento delle necessità nazionali), ed è per sopperire allo stop che sta costruendo il gasdotto Baltic Pipe, dove transiterà il gas norvegese a cominciare da novembre e ridurre in misura maggiore l’handicap energetico con la Russia. Quanto alla Lituania, il gasdotto GIPL è la seconda fonte d’approvvigionamento energetico indipendente da Mosca, giacché dal 2014 dispone di un terminale rigassificatore. La Russia poteva contare sul 41,8 per cento delle importazioni lituane, del 93 per cento di quelle estoni e del 100 per cento di quelle lettoni, secondo Eurostat (dati relativi al 2020). Poco, rispetto ai volumi tedeschi e italiani, ma, come dicono a Vilnius, Riga e Tallinn, si comincia sempre dalle piccole cose per farle diventare grandi.

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