Difficile vendere un’azienda che perde due milioni di euro al giorno mentre quando aveva la metà dei dipendenti e degli aerei e si chiamava Alitalia ne perdeva, si fa per dire, solo uno. A soli sette mesi dalla sua nascita, Ita è una compagnia aerea già fuori mercato da tutti i punti di vista.

Negli ultimi anni pre-Covid, mentre cresceva impetuosamente il mercato dei volatori italiani, Alitalia perdeva quote di traffico fino ad arrivare ad un misero 7%. Negli ultimi 20 anni non sono bastati 12 miliardi di sussidi pubblici e numerosi anni di cassa integrazione per rilanciarla, anzi.

Questa è stata l’eredità lasciata a Ita dalla ex compagnia di bandiera, assieme a una rigida normativa sul personale di volo e a un intreccio consociativo politica/sindacati che ne fa una intoccabile area corporativa concentrata tra Roma e Ostia.

Perché Ita è stata statalizzata nell’ottobre scorso, se poi la si voleva vendere? A che pro spendere altri 3 miliardi per far nascere una compagnia già obsoleta e priva di strategie per arrivare in pessime condizioni operative al momento della presunta vendita? L’unica spiegazione possibile è che la vecchia Alitalia in amministrazione straordinaria e la nuova Ita si sono divise il ruolo di ammortizzatore sociale mascherato. La corporazione e gli interessi politici e sindacali, dietro lo scudo della tutela del lavoro hanno risolto così il problema di migliaia di addetti divisi tra le due aziende.

La dataroom per la vendita si è aperta in questi giorni e dovrebbe concludersi per la fine di maggio, ma certamente verrà prorogata. Lo “snellimento” e la statalizzazione di Ita doveva servire per renderla appetibile. Dalle notizie in circolazione, tuttavia, le cose vanno malissimo non solo sotto il profilo delle perdite di gestione, che si stanno di nuovo accumulando e che inevitabilmente renderanno più difficile se non impossibile la vendita, ma anche per i dati dei passeggeri trasportati a Linate. Con una media fallimentare di 50,6% di load factor, infatti, Ita chiude una classifica che vede in testa Easy Jet e Air France con il 78,6% di posti occupati a volo, seguite da British Airwais con il 71,5%.

Se va avanti così il governo, anziché vendere, dovrà regalare Ita. Del resto, con un consiglio di amministrazione di 9 componenti in rappresentanza di tutte le forze politiche, appare evidente che la missione è quella di essere un ammortizzatore sociale non di bisogni professionali e salariali ma di tutela corporativa.

Da qui nascono le perplessità di Lufthansa. Mentre i piani di MSC, il colosso italiano delle crociere sono ancora da scoprire. Certamente i presunti compratori aspetteranno la ennesima ricapitalizzazione statale da 400 milioni: prevista per marzo, al momento è stata rinviata (e sarebbe una spesa ingiustificabile ed iniqua soprattutto in questa fase di crisi). Presto, però, è certo che le pressioni consociative la faranno approvare. Altro che allacciarsi le cinture per il decollo.

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