Dalle nuvole nasce la pioggia che bagna l’elicottero, ma la guerra sarà vinta: avanti Ucraina. A realizzare il disegno è stato Sergeij, nove anni, uno dei bambini che dall’inizio del conflitto vive con la sua famiglia nei sotterranei della metropolitana di Kharkiv. Il suo, come quelli di tantissimi altri bambini bloccati lì sotto, sono stati affissi in una bacheca lungo il corridoio principale della stazione Maydan Konstytutsii, piazza della Costituzione. Dove, fino al 24 febbraio, transitavano i passeggeri sbucati dalla ripidissima scala mobile che scende quasi verticale prima di salire sui treni, oggi c’è il quartier generale della città sommersa.

I vagoni ci sono ancora, fermi alla stazione in entrambe le direzioni, ma non ospitano viaggiatori, quanto gli sfollati dalle case colpite dalle bombe: “Ci sono almeno 300 persone ancora qui, non se ne vogliono andare perché la situazione è ancora difficile e il rischio di morire troppo alto” spiega Evgenija, la coordinatrice-factotum della struttura di accoglienza. È proprio lei a farci notare i disegni. Soprattutto quelli che straziano il cuore. L’occhio che piange lacrime blu su sfondo giallo, i colori dell’Ucraina, è l’unico realizzato da una ragazza di 16 anni e lo si capisce dal tratto. Ce ne sono altri invece che raccontano, meglio di qualsiasi parola, l’ansia dei più piccoli, costretti nella loro infanzia in tempo di guerra. Linee confuse e contorte sono il segno della paura, tracciano il dramma della guerra, tra proiettili vaganti e obiettivi colpiti. Per fortuna ce ne sono altri votati alla speranza e a un futuro di pace, con il simbolo delle colombe, la bandiera ucraina e scene di normalità come una campagna verdeggiante e il sole che splende, sorridente. I traumi riportati dai bambini ucraini, quelli che vivono quotidianamente sotto le bombe ma anche chi è stato costretto a scappare con mamme e nonne, resteranno a lungo e nessun psicologo potrà cancellare l’orrore e la paura.

Per ora quelli della stazione metro di piazza della Costituzione, nel cuore di Kharkiv, non mostrano il lato oscuro della loro esperienza, vissuta gioco forza nella città sotto assedio. Non è normale ciò che sta accadendo, a partire dal fatto di essere costretti a vivere dentro un vagone trasformato in alloggio, ognuno dei quali condiviso da una ventina di sfollati. Sotto terra non manca nulla però, l’elettricità garantisce collegamenti internet e addirittura la possibilità di attivare uno schermo per mostrare cartoni animati. Ci sono cibo e acqua, donazioni da parte delle brigate volontarie che riforniscono quotidianamente gli sfollati della metropolitana. E poi ci sono i bagni, usati e puliti ogni giorno dal personale della società che gestisce la rete underground. Nella metro si ascolta musica, si lava la biancheria, c’è addirittura un barbiere che, non si sa come, è riuscito a portare là sotto una poltrona professionale. Ci sono soprattutto donne e bambini, tanto per cambiare, ma anche tanti uomini, alcuni anziani che mai avrebbero pensato di vivere l’ultima parte della loro esistenza nascosti come topi a 80 metri sotto terra.

E poi c’è Andreij, professione stuntman, ma anche designer, creatore di armature speciali, giocoliere, mangiafuoco. Questo nella sua vita precedente, ora, in tempo di guerra, ha lasciato la sua casa alla periferia nord di Kharkiv, proprio all’uscita di un’altra stazione della metro, e vive lì dentro dai primissimi giorni di marzo. Eppure la cosa assolutamente particolare è la sua conoscenza quasi perfetta dell’italiano: “Ho vissuto per oltre otto anni vicino Verona, facevo lo stuntman al parco Movieland di Lazise, ero specializzato nelle scene col fuoco. Stavo otto mesi lì e quattro mesi tornavo in Ucraina, poi nel 2015 ho deciso di rientrare in pianta stabile. Mi sono trasferito a Kiev dove ho lavorato sempre nel settore creativo. In particolare, negli ultimi anni, ho creato armature speciali per eventi di spettacolo e per uno sport, l’Hema, una sorta di scherma storica con corazze resistenti che qui in Ucraina va moltissimo. Purtroppo il Covid prima e la guerra adesso hanno distrutto anche questo. In attesa di poter tornare presto alla nostra vita ogni mattina esco e vado a dare una mano a chi ne ha bisogno, come volontario. Altro non posso fare”. Per Andreij sono stati due mesi di ansia: “Le prime bombe sono cadute sulla città poco dopo l’invasione russa del 24 febbraio – aggiunge – Tra l’1 e il 3 marzo è stato l’inferno e allora ho deciso di lasciare la mia casa e di trasferirmi qui sotto. Mi sono portato una tenda, sto da solo, non devo dividere lo spazio con nessuno. Non è il massimo, ma si tira avanti, in attesa di tempi migliori”.

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