Mentre i tennisti russi sono esclusi dalla terra rossa degli Internazionali di Roma per decisione del Coni. Sulla scia di Wimbledon per la gravissima colpa di aver rotto la tregua olimpica. Mentre Dostoevsky viene bandito da qualche università da far rivoltare nella tomba una delle menti più eccellenti della letteratura non solo russa. E il Festival di Ravello si chiede se invitare o no l’istrionico direttore d’orchestra Valery Gengierv visto la sua amicizia con Putin. Il Teatro San Carlo si erge super partes e apre il Festival Pianistico con due star russe (ma che fanno parte della costellazione planetaria) della tastiera: Arcadi Volodos e Alexandra Dovgan. Il primo, classe 1972, curriculum infinito e collezione di diplomi che vanno da quello del Conservatorio di Mosca, San Pietroburgo fino a quello di Parigi e Madrid. Ha lavorato con le migliori orchestre del mondo, dalla Berliner alla Philarmonic di New York. A soli 27 anni con il disco del suo debutto alla Carnegie Hall di New York, il santuario della musica, ha vinto il Gramophone Award, l’equivalente dell’Oscar. Ed era il suo primo album. Ha suonato con tutti i big, si intende i direttori d’orchestra (Zubin Metha e Christoph Eschenbach, tanto per citare due a caso). Uno dei migliori esecutori di Rachmaninov, dicono di lui che sarà il futuro Pollini.

Alexandra, classe 2007, vero enfant prodige, figlia d’arte, genitori musicisti, cresce a note, spartiti e zuppe borsch. A 5 anni entra nel Conservatorio di Mosca, a 11 anni vince il Grand Prix del Concorso Internazionale per Giovani Pianisti. A 13 anni debutta con la Philarmonic di Berlino e con il suo primo recital al Festival di Salisburgo. Ovunque standing ovation e critiche osannanti per il suo virtuosismo e creatività. Ha una marea di followers che la seguono sui social anche quando non ha uno spartito di Chopin fra le mani. Tra gli hobby scia, studia balletto classico ed è fortissima anche in matematica. Sul palco del San Carlo ha entusiasmato tutti con Allegre, Romanze, Scherzino, Adagio Grazioso, Rondò di Schumann e di Beethoven. Non ci sta al becerismo culturale, Roberta Lencioni, pregevole accademica della Federico II: “La musica vola alta, al di sopra delle guerre e degli ego spropositati di chi la sta imponendo al mondo”. Era seduta nel parterre rapita dall’opulenza di note della nostrana Beatrice Rana, pianista che ha poco da invidiare alla concorrenza.

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