Sostenere l’Ucraina nella sua guerra difensiva contro la Russia non ha lo scopo di farle vincere la guerra, ma di spingere Putin verso il negoziato, cosa che l’invasore non farebbe se avesse pieno successo sul campo. Per poter negoziare, servirebbe capire bene le motivazioni e le conseguenti richieste di Putin.

Le motivazioni che noi attribuiamo a Putin, cioè la protezione delle minoranze russofone del Donbass e della Crimea e l’accerchiamento Nato, sono scarsamente credibili perché una guerra di invasione è un’azione assurda rispetto ad entrambe. Per proteggere le minoranze del Donbass Putin avrebbe potuto, tutt’al più, mandare una forza di interposizione nel Donbass, meglio se con una risoluzione Onu in suo favore (se gli fosse stato possibile ottenerla); per evitare l’adesione dell’Ucraina alla Nato, invaderla – cioè realizzare le peggiori preoccupazioni che potevano motivarla – è ovviamente controproducente. In effetti l’attacco russo all’Ucraina sta spingendo anche la Finlandia e la Svezia ad aderire alla Nato.

Le motivazioni che Putin ha presentato in un articolo scritto nel 2021 (delle quali ho parlato in un post precedente) potrebbero essere compatibili con l’invasione, ma sembrano deliranti: Putin considera l’Ucraina una parte della Russia e vorrebbe riprendersela; inoltre vorrebbe “denazificarla”, controllandone le scuole e i mezzi di comunicazione per almeno un quarto di secolo. Purtroppo, ci sono elementi per ritenere che queste motivazioni siano almeno in parte ritenute plausibili da Putin: appartengono infatti a una linea di pensiero che in Russia è espressa in varie sedi e in particolare dal “filosofo” Aleksandr Dugin, professore di sociologia nell’Università di Mosca, ritenuto ideologicamente vicino a Putin.

Il Dugin-pensiero (peraltro condiviso anche da vari “filosofi” italiani”) è ancor più delirante del discorso di Putin e non si può spiegarlo in un discorso coerente; ciononostante, penso che sia utile condividere coi lettori almeno quelle parti che sono più rilevanti per la comprensione della guerra in Ucraina.

Dugin considera pericoloso l’attuale ordinamento politico mondiale, che secondo lui è monopolare e governato dagli Usa, e auspica un ordinamento multipolare. I poli indicati da Dugin includono, oltre a quello atlantico, quello euroasiatico, slavo-ortodosso ma inclusivo di minoranze islamiche e centrato nella Russia, quello islamico, quello africano, quello sudamericano, etc. I “poli” indicati da Dugin non sono immaginari ma realmente esistenti e questo apparentemente è in contraddizione con la monopolarità americana; ma Dugin ritiene che la multipolarità sia imperfetta perché i poli “non atlantici” anziché contrapporsi al polo atlantico risentono della sua attrazione.

Da buon pensatore totalitario, fautore di un ordinamento che lui stesso definisce “nazional-bolscevico”, Dugin nega non solo la libertà dell’individuo, che lui immagina come completamente asservito allo Stato, ma anche quella dello Stato, che lui immagina o auspica completamente asservito al polo di riferimento. Il polo di appartenenza assomiglia a un destino attribuito per nascita all’individuo e al popolo e ricorda vagamente la razza, anche per i frequenti e ammirati riferimenti di Dugin a Julius Evola, il pensatore fascista italiano autore della peculiare teoria del “razzismo dello spirito”. Ovviamente Dugin è contrario al globalismo, che tende a fondere e rimescolare i poli. Poiché i poli di Dugin, discussi soprattutto nel suo libro La quarta teoria politica, uniscono cose che esistono, come le culture e le religioni, con cose che non esistono, come l’unione spirituale dei popoli che ne sono portatori, il concetto è piuttosto oscuro.

Dugin considera il governo dell’Ucraina, come quelli di altri paesi dell’Europa orientale, colpevole del più odioso crimine: il tradimento del suo polo di riferimento (euroasiatico, slavo-ortodosso) per aderire al polo atlantico e lo assimila al nazismo, che si rivoltò contro il suo polo con le guerre della Germania in Europa. Per Dugin è un preciso dovere morale e politico della Russia quello di recuperare al polo euroasiatico la traditrice Ucraina e rieducarla; e il mezzo non può essere pacifico perché attrarre l’Ucraina verso la Russia con vantaggiosi accordi politici e commerciali significherebbe, secondo Dugin, utilizzare gli strumenti propri del polo atlantico.

Dugin e Putin erano così convinti della loro teoria che pensavano che il popolo ucraino avrebbe accolto festante l’esercito del fratello di polo russo che veniva a liberarlo dal giogo del governo responsabile del tradimento. Se, come sembra, Putin condivide, anche solo parzialmente, le idee di Dugin è difficile immaginare quali possano essere le basi di una trattativa di pace. Bisogna sperare che tra un delirio e l’altro prevalga quel pragmatismo che Putin in altre circostanze ha dimostrato di possedere.

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