“Se il mondo avesse ascoltato Zelensky e avesse seguito parola per parola quello che lui ha chiesto in questi 41 giorni di guerra, saremmo già alla terza guerra mondiale, perché avremmo concesso all’Ucraina la no fly zone, e quindi avremmo già avuto uno scontro aereo tra caccia Nato e caccia russi”. Così, a “Otto e mezzo” (La7), il direttore del Fatto Quotidiano, Marco Travaglio, commenta il durissimo intervento del presidente ucraino Volodymyr Zelensky al Consiglio di sicurezza dell’Onu, aggiungendo: “Per fortuna l’Occidente sta dando la massima solidarietà, com’è doveroso, al popolo ucraino, ma poi fa la tara a ciò che dice Zelensky, il quale non sempre dice cose calcolandone le conseguenze”.

Travaglio si sofferma poi sulla richiesta di Zelensky circa un tribunale sul modello di Norimberga che processi la Russia per i crimini di guerra: “È una bellissima esercitazione retorica, ma purtroppo è impossibile. Intanto, per processare Putin alla Corte internazionale dell’Aja, bisogna arrestarlo perché non sono previsti i processi in contumacia. In secondo luogo, bisognerebbe che l’Ucraina riconoscesse la corte dell’Aja, cosa che non ha mai fatto, probabilmente perché altrimenti ci sarebbero finiti alcuni fiancheggiatori delle truppe ucraine, i famosi nazisti del battaglione Azov, che si macchiarono di orrori spaventosi per 8 anni nel Donbass ai danni delle popolazioni russofone”.

Il direttore del Fatto conclude: “Gli americani dovrebbero avvertire Biden che essi stessi non riconoscono la corte dell’Aja, come non la riconosce la Russia. Se la riconoscessero, Usa e Russia sarebbero i primi a finirci, visto che di crimini contro l’umanità gli americani ne hanno commessi a bizzeffe insieme ai loro alleati, italiani compresi, in Iraq e in Afghanistan. I russi ne hanno combinate di tutti i colori, dalla Cecenia alla Georgia, per non parlare della Siria. Quindi, i Paesi che non vogliono finire sotto processo non riconoscono quel tribunale – chiosa – dove infatti vengono processati i Paesi solitamente più sfigati dopo che hanno perso una guerra. Stiamo parlando di un’esercitazione retorica che non porta da nessuna parte. L’unica cosa che porta da qualche parte è fare un’analisi realistica della situazione sul campo e cercare di riannodare i fili faticosissimi di quell’inizio di trattativa che si era abbozzata ultimamente in Turchia e della quale nessuno parla più per questa escalation verbale seguita alla strage di Bucha“.

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