“Per cortesia, può abbassare la tendina? Il nemico ci guarda”. Il senso della richiesta perentoria avanzata da una delle passeggere del treno notturno da Kiev a Uzhgorod è chiaro, sebbene si limiti a un eloquente gesto della mano e a poche parole incomprensibili: le tapparelle dei finestrini dei convogli ferroviari, in tempo di guerra e dopo il tramonto, devono restare rigidamente abbassate. “È fondamentale non lasciar passare alcuna luce – spiega poi con calma un passeggero – per evitare che il treno possa essere intercettato da qualche missile sparato dai russi. Ogni precauzione è importante”. Il treno parte alle 20 e viaggia di notte, ma nella parte iniziale del suo percorso lambisce il fronte caldo della campagna militare attorno alla capitale, sfiorando Zytomyr. Per questo le luci artificiali vengono oscurate totalmente e il convoglio procede come un’ombra nell’oscurità. La precauzione era già evidente all’interno della monumentale stazione centrale di Kiev, quando, pochi minuti dopo le 19, l’illuminazione era stata spenta completamente, lasciando attivi solo i totem a indicare destinazioni, binari e orari.

I convogli in partenza dalla capitale e diretti a ovest non sono più gli stessi di un mese fa. Il grosso degli sfollati provocati dalla guerra è già scappato dalle città più martoriare a oriente e a sud, da Sumy a Kharkiv, da Cernihiv a Dnipro. Milioni di donne, bambini e anziani si sono stabiliti a Leopoli o nelle città dei Carpazi, hanno trovato accoglienza in Polonia e nel resto d’Europa. Il flusso è notevolmente diminuito rispetto alla metà di marzo. Le cose stanno cambiando, ormai è evidente. L’andamento del conflitto, segnato da uno stallo ormai consolidato in alcune aree dell’ex repubblica Sovietica, spinge sempre più ucraini a tornare sui propri passi. Per chi entra in Ucraina è già evidente come il trend inizi lentamente a invertire la tendenza: non più solo fughe a occidente, per molti è tempo di rientri. Il treno notturno con destinazione Uzhgorod, al confine con Ungheria e Slovacchia, parte pieno, ma non affollato. Diversi posti sono liberi e sono tutti a pagamento: chi viaggia ha un motivo per farlo e non si tratta esclusivamente di scappare dalla guerra.

La rete dei trasporti ucraina è in tilt dal 24 febbraio scorso e non potrebbe essere altrimenti. I treni viaggiano a velocità ridotta e osservano diverse soste per motivi di sicurezza, accumulando ritardi biblici sulle tabelle di marcia. La cartina di tornasole è il caos, quello sì immutato da ormai quaranta giorni, alla stazione di Leopoli, la nuova ‘capitale’ che ha raddoppiato la sua popolazione con l’accoglienza degli sfollati. Alcuni treni accumulano così tanto ritardo da essere stati praticamente cancellati. Le scene di inizio marzo nell’androne della stazione sono simili a quelle odierne. Con una differenza: ora, con l’emergenza mitigata rispetto ai primi giorni del dramma bellico, la maggior parte di chi viaggia lo fa per proprio conto. “I treni per Kiev due settimane fa partivamo semivuoti, trasportavano soprattutto merci e materiale vario, adesso le cose sono cambiate”, conferma arriva il giovane Dima, volontario dell’ufficio informazioni ferroviarie, preso d’assalto dai viaggiatori che non sanno cosa fare. “Non ci sono più soltanto operatori umanitari e uomini impegnati a vario titolo nel conflitto – aggiunge Dima – a bordo salgono anche famiglie dirette a est”.

L’alba gelida di Leopoli accoglie chi non è riuscito a utilizzare la ferrovia. Inizia a nevicare. Fuori dalla stazione è sempre attiva la rete della solidarietà con beni di prima conforto, cibo, bevande calde, vestiti e coperte. Gruppi di mamme e nonne con figli e nipoti si buttano sull’altra opzione per uscire dal Paese: viaggiare su gomma. Un’offerta molto ampia di torpedoni consente di raggiungere il confine polacco o di andare addirittura oltre. Pullman partono per Cracovia, Varsavia, Katowice, le principali città della Polonia. Quello per Katowice si riempie con una certa lentezza, sintomo ulteriore di come la domanda non sia più la stessa delle settimane scorse. A bordo, tanto per cambiare, soltanto donne e bambini. Si tratta di viaggi pianificati, con un obiettivo che non sia quello dell’urgenza provocata dalla guerra: “Vado a Katowice da mia sorella che vive lì da alcuni anni ormai, starò un po’ con lei”, confida una pensionata alle prese con il suo telefono. Per uscire dall’Ucraina, sul versante polacco le frontiere sono almeno tre. Quella di Medyka consente di raggiungere Przemysl e il punto centrale dell’accoglienza profughi, ossia la strada battuta nella prima fase dell’emergenza. L’altra, quaranta chilometri a nord, collega Chorzowa (Polonia) a Krakovets (Ucraina). A poca distanza da qui, il 13 marzo scorso, missili russi hanno colpito la base militare di Yavoriv provocando numerose vittime. Siamo a una manciata di chilometri dall’Europa.

A inizio marzo il transito di profughi attraverso la dogana di Krakovets era impressionante. Con temperature fisse sotto lo zero, centinaia di persone attendevano in coda i controlli prima di passare in Polonia, per poi essere trasferiti a bordo dei bus nelle varie località designate. Nella stazione di servizio a due passi dalla dogana non c’era spazio neppure per uno spillo. Oggi quelle scene non esistono più. I controlli sono sempre estenuanti e richiedono ore per il passaggio dall’Ucraina alla Polonia, ma le persone in attesa sono non superano il 10 percento di quelle che si vedevano venti giorni fa. Ma il vero scenario che conferma come il trend sia cambiato è sul versante polacco. A inizio marzo il flusso dei veicoli era scarso e limitato a organizzazioni umanitarie, giornalisti, volontari e poco altro. Nessuna coda per arrivare ai controlli. Ora per entrare in Ucraina è un terno al lotto: lungo l’autostrada che porta proprio sul confine ci sono code chilometriche di tir, furgoni, auto e veicoli privati in genere. Intanto il bus per Katowice, con tappa a Cracovia, riparte. I telefonini non vanno più con le sim card ucraine, per questo l’addetto del bus, come prima cosa, passa lungo il corridoio mostrando schede telefoniche con 20 giga di internet. Come era normale attendersi, vanno subito a ruba.

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