L’uso strumentale della Storia, l’estensione della Nato verso Est, il ruolo delle formazioni neonaziste. Come mettere nel giusto ordine queste tessere del puzzle complesso che riguarda la guerra in Ucraina scatenata da Vladimir Putin? A rispondere sono Giorgio Cella, dottore di ricerca in Istituzioni e Politiche all’Università Cattolica di Milano, dove insegna, e Maria Chiara Franceschelli, dottoranda in Scienza Politica e Sociologia alla Scuola Normale Superiore di Pisa, studiosa di questioni dell’Est Europa.

Cella, analista geopolitico, ha all’attivo decine di articoli, saggi e pubblicazioni scientifiche di politica internazionale, ed è stato osservatore elettorale per l’Osce nelle elezioni in Ucraina del 2019. Il suo ultimo libro – uscito lo scorso anno – è Storia e geopolitica della crisi ucraina. Dalla Rus’ di Kiev a oggi (Carocci, 352 pp, 36 euro), volume che diventa cruciale per capire meglio le vicende dell’Ucraina e della crisi con la Russia, ma anche più in generale quell’area centro-orientale d’Europa spesso trascurata dall’Occidente.

Franceschelli è specializzata nello studio dei movimenti sociali, della società civile e dei rapporti fra società civile, istituzioni e settore privato nell’area russa e dell’Europa post-sovietica. Tra le altre cose fa parte della redazione de Gli asini, la rivista culturale diretta da Goffredo Fofi.

Vladimir Putin nel discorso con cui ha annunciato l’invasione della Russia in Ucraina ha detto tra l’altro che “l’Ucraina è stata creata dalla Russia e ne è parte integrante, per la sua storia e la sua cultura”, attaccando Lenin per il “gravissimo errore” di promozione dell’autodeterminazione delle nazioni nell’Unione Sovietica. Cosa ci dice questo in termini di distorsione della memoria e uso politico della Storia?
Cella – La strumentalizzazione del passato, come la propaganda, è qualcosa che accompagna da sempre i conflitti, in questo caso però la forzatura delle questioni storiche ha assunto un ruolo preminente nel contesto bellico, con pieghe alquanto rischiose. Il continuo rimprovero revisionista di Putin alle scelte fatte dai suoi predecessori che hanno plasmato la storia dell’Urss risulta di difficile comprensione e contraddittorio: si criticano così tanto i leader e i fondatori di quell’Urss la cui dissoluzione fu definita dallo stesso Putin come la più grande catastrofe geopolitica del ventesimo secolo, qualcosa non torna… Storicamente, che i due Paesi abbiano radici comuni è noto, ma è altrettanto chiaro come le identità di questi popoli abbiano nei secoli sviluppato caratteristiche particolari in termini di differenziazione linguistica, culturale e confessionale, e ciò lo si è visto anche nella risposta all’offensiva russa che ha toccato varie aree del Paese.

Franceschelli – La strumentalizzazione della storia russa e dell’enorme retroscena culturale che essa fornisce è alla base della ricostruzione dell’identità russa operata da Putin in seguito allo shock del crollo dell’Urss. Quella dichiarazione è coerente con la strategia usata da Putin negli ultimi vent’anni, di cui pilastro fondamentale sono l’uso politico e decontestualizzato di avvenimenti storici e il revisionismo tout court. La rappresentazione in chiave nostalgica di un passato storico e bellico glorioso, in cui la Russia svolge sostanzialmente il ruolo di difensore dei valori di giustizia, tradizione e libertà, è stata fondamentale nel ricreare un’ideologia comune e nel raccogliere la cittadinanza attorno a valori nazionalisti, patriottici e militari. La costruzione di un’identità interna è stata la priorità di Putin sin dal 2000, ma le narrazioni che ne sono emerse, tra sovietismo e revanscismo, sono state altrettanto utilizzate per inquadrare la politica esterna della Russia, anche nel giustificare l’invasione dell’Ucraina, che è diventata una “operazione speciale militare” per “difendere le repubbliche del Donbass dal genocidio di un governo fantoccio”.

Quando si parla della guerra in corso si parla anche molto del rapporto tra ciò che sta succedendo oggi e le proteste antirusse e pro-Europa del 2014. Erano presenti anche forze neonaziste e anche per questo Putin sta frequentemente usando la bandiera della cosiddetta “de-nazificazione”. Che ruolo hanno svolto allora queste forze e che ruolo svolgono adesso? E, in particolare qual è il rapporto tra la loro formazione e il gioco politico tra Russia e Occidente in Ucraina?
Cella – Le fazioni ultranazionaliste ucraine, che esistono nel Paese e che si rifanno direttamente anche a estremismi ideologici di destra del secolo scorso, hanno preso parte agli scontri nel Donbass contro i separatisti filorussi, e sono accusate di violenze e crimini in quel contesto bellico. Queste formazioni paramilitari hanno anche una dimensione politica, avendo partecipato in varie elezioni negli ultimi anni, ed è qui che la narrazione della centralità politica di tali realtà si ridimensiona. Basta infatti guardare alle loro performance elettorali degli ultimi anni e ai risultati ottenuti, pressoché irrilevanti, indice di un consenso popolare molto basso.

Franceschelli – I gruppi neonazisti ucraini, in particolare Svoboda, hanno avuto un ruolo di punta nell’opposizione all’allora presidente ucraino Yanukovich, molto vicino al Cremlino. Le fazioni neonaziste, infatti, hanno sempre avuto un ruolo marcatamente antirusso in Ucraina, e dunque sostengono (e sostenevano), ad esempio, l’ingresso dell’Ucraina nella Nato e il rigetto degli accordi di Minsk. Chiaramente, ora come allora, è molto difficile determinare in termini quantitativi la loro influenza e presenza. L’Occidente tende erroneamente a sminuire, se non a ignorare, la presenza di questi gruppi. Tuttavia, ricondurre la componente antirussa, filo occidentale e soprattutto emancipatoria della popolazione ucraina a questo tipo di fazioni è un grave errore, e vuol dire anche ricadere nella narrativa fallace proposta da Putin.

E perché agli occhi di molti, in larga parte del discorso pubblico, abbiamo un appiattimento tra neonazismo e società civile ucraina e ciò non avviene allo stesso modo in altre realtà ex sovietiche, laddove l’estrema destra ha buon radicamento (come in Polonia, Ungheria o Repubblica Ceca)?
Cella – Parlare di appiattimento di tutta la società civile ucraina al neonazismo è un concetto del tutto improponibile, specie se si pensa al fatto che gli ultimi due premier eletti del Paese sono entrambi appartenenti alla comunità ebraica, mi riferisco a Volodymir Groysman e all’attuale Volodymir Zelensky. L’Ucraina è l’unico Paese al mondo ad avere un premier ebreo oltre ad Israele. La comparazione con gli altri Paesi non credo sia particolarmente utile al dibattito, in quanto la lista di Paesi europei con movimenti di estrema destra o antiebraici più o meno radicati potrebbe estendersi ben oltre a quelli da lei citati.

Franceschelli – A mio parere, la differenza principale è che i Paesi del Gruppo di Visegrad hanno ricalibrato questo tipo di spinte per via dell’appartenenza all’Unione europea. Le istanze anti-russe e anticomuniste, pertanto non hanno modo di esprimersi allo stesso modo in cui si esprimono in Ucraina. L’estrema destra ha trovato in questi Paesi altre vie di canalizzazione, come i sovranismi che conosciamo bene. C’è anche da dire che se la società civile di questi Paesi è già piuttosto lontana dal nostro discorso pubblico, la società civile ucraina lo è ancora di più. Non la conosciamo, pertanto si presta bene ad appiattimenti di vario genere e, soprattutto, a strumentalizzazioni.

In questi giorni si è molto discusso su quella che è stata definita la “promessa non mantenuta” dalla Nato di non espandersi fino ai confini russi. Quali sono le responsabilità occidentali? Ci sono ambiguità nei rapporti con l’Ucraina?
Cella – La questione dell’allargamento dell’Alleanza Atlantica ad Est è un tema su cui ci sarebbe da dire molto: nel mio libro c’è un capitolo apposito dedicato a tale processo evolutivo della Nato nell’ex spazio sovietico, con un sotto capitolo dedicato proprio alla supposta questione della promessa non mantenuta. Il tema è stato un elemento nella contrapposizione tra Occidente e Russia, ma è chiaro a tutti che non costituisce nessun tipo di motivazione diretta per l’offensiva militare russa di questi giorni. Va aggiunto che, nonostante gli sviluppi importanti in termini di cooperazione tra Nato ed Ucraina (e Georgia), non c’erano prospettive imminenti di allargamento della Nato a queste due nazioni che, nell’ottica russa devono rimanere legate alla propria sfera d’influenza o, alla meglio, essere neutrali, in quanto prossime ai confini occidentali russi. Semmai, riguardo alle responsabilità occidentali, la diplomazia avrebbe potuto fare di più nei decenni passati in termini di engagement delle varie repubbliche contese nello spazio post-sovietico, realtà che sono state troppo spesso marginalizzate: chissà se questo momento possa costituire un cambio di passo in tal senso.

Franceschelli – Il discorso sulle responsabilità occidentali muore nel momento in cui viene estremizzato strumentalmente in un’attribuzione di colpa; pertanto, è molto importante continuare a parlare di “responsabilità”. Il ragionamento sull’espansione della Nato, sulla mancata pressione nei confronti di Kyiv per il rispetto degli accordi di Minsk, non è e non sarà mai funzionale a fornire una giustificazione all’invasione, ma è fondamentale per capire il contesto e per riassestare le direzioni future. Queste posizioni, fra l’altro, non sono una novità dei “fiancheggiatori di Putin” di oggi: nel 1997 George Kennan, diplomatico Usa, sovietologo e non esattamente un socialista, condannò l’espansione Usa prevedendo la reazione russa, e le varie strumentalizzazioni del caso. Gli Usa e la Nato hanno approfittato della debolezza della Russia post-sovietica per allargare verso Est la propria sfera di influenza – la reazione russa, in un disperato tentativo di re-imporsi come grande potenza, risponde alle logiche realiste delle relazioni internazionali. Osservare questo tipo di dinamiche non vuol dire giustificare un’invasione o una guerra ingiustificabili, significa fornire gli strumenti per comprenderle e, ottimisticamente, prevenirne altre in futuro.

E’ difficile proporre scenari, ma possiamo provare a formulare un parere su due questioni: da una parte lo strumento delle sanzioni e dello Swift e dall’altra la possibilità di un “ritorno sui propri passi”, sia per quanto riguarda l’espansionismo a est della Nato, sia rispetto all’aggressività militare russa. E qui dentro come si colloca l’Italia?
Cella
– L’opzione “nucleare” sanzionatoria di esclusione della Russia dallo Swift, è stato il colpo più duro inferto alla Russia, al cerchio più ristretto dei collaboratori di Putin e delle oligarchie. L’Italia si sta muovendo in conformità con le dinamiche condivise dal fronte euro-atlantico. Per quanto concerne le sanzioni, specie sul fronte dell’energia, è chiaro che Paesi come l’Italia e la Germania più dipendenti di altri dal gas russo potranno avere contraccolpi maggiori in termini economici, ma in questa situazione le sanzioni rimangono l’unica opzione – per evitare quella bellica – in mano all’Occidente. A questo riguardo la sfida della diversificazione delle fonti energetiche dovrà comunque essere affrontata al più presto dall’Italia come dall’Europa nel suo insieme. La questione dell’allargamento invece, non solo della Nato ma anche (e forse) solo dell’Unione Europea a questi Paesi ai confini con la Russia, è un tema che plausibilmente continuerà a ripresentarsi, come lo sarà il tema della potenziale neutralità di questi Paesi. Rispetto all’aggressività militare russa, non ci si può che auspicare che il negoziato in corso portato avanti da Israele da un lato, dall’altro da Turchia e Cina, possa portare alla fine delle ostilità e ricondurre la Russia a una normalità d’azione sul piano delle relazioni internazionali. Certo, bisognerà vedere quale tipo di Russia sarà quella che uscirà da questa intricata quanto spaventosa situazione.

Franceschelli – Se fino a poche settimane fa le sanzioni da parte dell’Ue erano uno strumento più politico che fattuale, un modo di esprimere il proprio statement e di posizionarsi a livello ideologico, ora vengono usate in maniera molto più pesante, come unica arma a disposizione. Ciò presenta risvolti problematici: innanzitutto, l’Ue ha un raggio d’azione limitato (pensiamo al gas), e andando di mano pesante si hanno ritorsioni notevoli sulle economie interne. In secondo luogo, il ruolo di altri attori (pensiamo alla Cina) potrebbe attutire il colpo per la Russia. Terzo, e fondamentale, le sanzioni imposte in questi giorni vanno a colpire direttamente non solo il centro del potere, ma anche la popolazione russa, che si trova in estrema difficoltà. Oltre al dilemma etico in questione, c’è un altro problema: nel momento in cui la propaganda russa accusa l’Occidente di perseguitare la Russia, è più facile che la popolazione russa si radicalizzi in senso anti-occidentale, anziché riconoscere Putin come diretto responsabile del proprio declino economico. Personalmente, non vedo un ritorno sui propri passi nelle dichiarazioni di questi giorni da nessuna delle parti in gioco, anche se per me questo rimane lo scenario più auspicabile. Allo stesso modo, l’Italia non ha mostrato sostanziali divergenze in merito al proprio ruolo all’interno della Nato, né dell’Ue.

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