Fino a giovedì 24 febbraio scorso, Helena, Olga e Sasha non avrebbero mai immaginato di ritrovarsi a dormire nel letto di qualcun altro, lontani migliaia di chilometri dalla propria casa, dai giochi, dagli amici. Sembra il racconto di un film, di una di quelle pellicole che strappano le lacrime ma la storia di questi tre bambini e del popolo rumeno che li ha accolti è reale. Hanno viaggiato per cinque giorni accanto a nonna Lyudmyla verso l’Italia, dove ad aspettarli con il cuore in mano c’era mamma Karolina.

Una fuga da una guerra ormai dietro l’angolo. Un viaggio per lasciare alle spalle la morte, verso un futuro ignoto ma certo. Un incubo per quella donna di 59 anni e i tre nipoti di 8, 10 e 11 anni, interrotto almeno per qualche ora dall’abbraccio delle famiglie rumene che li hanno ospitati, rifocillati, coccolati come se fossero loro figli. Bastano le parole di Karolina per capire: “Mia mamma è stata trattata come una regina e i miei figli come dei principi. Non potremo mai dimenticarci quello che hanno fatto per noi”. Karolina lo ripete una, due, tre volte. Ha in mano il cellulare sul quale sono registrate le “prove” di quel che racconta: “Guarda questo video che mi ha inviato mia madre mentre era in Romania”. Un minuto, forse poco più: Helena con le sue lunghe trecce bionde che le cadono sulle spalle, suona il pianoforte. C’è chi scatta una fotografia. A prendere la parola, quasi come fosse una preghiera di ringraziamento, sono le note musicali. Per un attimo sembra che la guerra non esista, che questa fuga sia una “gita” a casa di vecchi amici.

E pensare che molti ucraini (come molti italiani) hanno sempre conservato sciocchi pregiudizi sui rumeni: “Hanno dato tutto quel che potevano. I miei figli hanno dormito in lenzuola candide, hanno trovato frutta, yogurt, ogni ben di Dio. Il giorno seguente, in attesa di ripartire, sono stati accolti da un’altra famiglia, una coppia giovane che ha offerto loro una doccia, comprato le pizze e persino fatto dei regali. Ti rendi conto?”.

Mentre Karolina parla, gli occhi di Olga s’illuminano. Come la sorella, ha due trecce che incorniciano un volto dolce e simpatico, scaltro e intelligente: “Mamma”, dice per farmi capire chi è l’autrice di questi capolavori estetici. Di quei 2mila chilometri percorsi attraversando monti e pianure, spiando dal finestrino gli sconosciuti paesaggi della Moldavia, della Romania, dell’Ungheria e della Slovenia fino ad arrivare a Crema, nella sterminata pianura Padana, un giorno resterà forse solo il ricordo del calore ricevuto da genti mai viste: “Per tutto il viaggio, per chilometri e chilometri, in Romania hanno visto da una parte e dall’altra della carreggiata tavoli con pannolini, assorbenti, latte artificiale, prodotti per l’igiene, cibo”, racconta la madre dei bambini. Tutto donato, tutto gratis. “Ogni famiglia – dice Karolina che riporta quanto gli hanno narrato la madre e i figli – ha allestito dei tavoli davanti alla propria abitazione mettendo a disposizione tutto ciò che aveva in casa”.

Grazie a Instagram sono rimasti in contatto con le famiglie che li hanno accolti. Un giorno, spera presto, mamma e nonna vorrebbero tornare in Romania per ringraziarli il più possibile. Olga, Helena e Sasha sono ormai lontani dall’inferno che si è scatenato in Ucraina. Quando hanno deciso di partire, portandosi come viatico l’essenziale, ancora non si vedevano il sangue per le strade, i corpi riversi a terra, ma il terrore era già presente. Il suono lancinante della sirena aveva già conquistato il tempo e la fuga negli scantinati trasformato gli spazi. Un’altra vita. Inimmaginabile. Tant’è che quando chiediamo a Karolina come ha spiegato ai bambini che dovevano partire, abbandonare tutto, ci risponde con una razionalità disarmante, quasi incomprensibile a noi: “Hanno capito. Anche loro avevano compreso che eravamo in guerra. L’hanno visto in tv. L’hanno compreso parlando con i compagni. E poi il suono dell’allarme bomba, ormai sono grandi”.

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