Era il 1° dicembre 2019 quando la Giunta Raggi presentò il Capitolato per l’affidamento del Progetto per il superamento del villaggio attrezzato di Castel Romano che, dopo regolare bando, fu affidato a un raggruppamento di associazioni per un impegno di spesa di 1.528 milioni di euro. L’insediamento, il più grande e controverso di Roma, era a quel tempo abitato da 734 persone e compito delle associazioni doveva essere quello di promuovere percorsi di autonomia abitativa dei nuclei familiari con una data ultima di chiusura del villaggio fissata a chiare lettere al 30 novembre 2021 per consentirne la successiva bonifica ambientale. Il 25 marzo 2021 l’area F (una delle quattro aree originarie del villaggio) venne sgomberata e 90 persone liberarono forzatamente l’area. Prima di loro era stata gettata in strada la comunità dell’area ex Tor Pagnotta, abitata da una ventina di persone. Le azioni di superamento avevano come data di inizio il 20 febbraio 2020 e come fine il 19 febbraio 2022.

Il progetto è dunque terminato da alcune settimane e il campo non è affatto superato, come prevedeva il bando, ma ancora lì con i suoi 570 abitanti. Se spuntiamo dal calcolo le 110 persone sgomberare dalle due aree (Area F e Area ex Tor Pagnotta) si fa presto a risalire al dato che l’insediamento in 24 mesi ha registrato un decremento di sole 54 unità – quasi tutte, tra l’altro, entrate autonomamente in case popolari – a fronte di una spesa impegnata per la fuoriuscita degli iniziali 734 residenti iniziali superiore al milione e mezzo.

Si può parlare di fallimento? A più riprese come Associazione 21 luglio, sin dalla formulazione del Capitolato, avevamo messo in luce le criticità di un progetto caratterizzato da un impianto che non poteva condurre in nessun modo al raggiungimento degli obiettivi minimi perché oscillante tra un approccio securitario e uno assistenzialista. Il progetto altro non era che una fedele declinazione del Piano rom della Giunta Raggi e per questo eravamo arrivati a formulare puntuali raccomandazioni quali:

1) la fine di un approccio top-down con azioni, bandi, capitolati calati dall’alto senza preventiva consultazione con i residenti;

2) l’importanza di attivare un dialogo con gli esperti e le organizzazioni del Terzo Settore attraverso l’apertura di un Tavolo;

3) la sospensione del Patto di Solidarietà dal profilo chiaramente discriminatorio;

4) l’urgenza di operare una valutazione di impatto delle passate azioni al fine di individuare strategie innovative.

Oggi il Progetto della Giunta Raggi è giunto al suo termine e come Associazione, nonché come semplici contribuenti, ci chiediamo se e quali obiettivi siano stati raggiunti a fronte di un impegno di spesa così ingente. A conclusione del Progetto sarebbe stato fondamentale fermarsi, analizzare il passato, aprire un’analisi critica alla luce del sole, leggere ciò che ci dicono le sempre più numerose buone pratiche che si stanno implementando sul territorio nazionale per trovare spunti nuovi.

E invece ecco apparire sul sito del Comune di Roma un nuovo Capitolato per l’affidamento del Progetto di inclusione sociale per le persone rom, sinti e caminanti [sinti e caminanti?, nda] e superamento villaggio attrezzato Castel Romano, in perfetta continuità con il precedente, della durata di nove mesi dalla data di affidamento e con un impegno di spesa pari a 435 mila euro. Nel testo si continua a dare enfasi a parole e pratiche che restano appese in aria e dalle quali i dirigenti capitolini, dai tempi di Francesco Rutelli, non riescono proprio a discostarsi: dall’ossessione di “incentivare pratiche di legalità”, all’obbligo “di garantire la frequenza scolastica” per l’accesso a prestazioni sociali; dal famigerato “Patto di solidarietà Responsabile”, ai sofisticati “servizi di tutoring”, “dall’educazione alla comunità” all’incentivare il “rispetto dell’ambiente di vita”.

Roma, lo ripetiamo da mesi, ha l’occasione storica di chiudere la stagione dei campi ma per farlo occorre un taglio netto con il passato. Nelle azioni come nelle parole. Abbiamo il dubbio che ciò possa non accadere e la certezza che ad oggi, a Roma sulla questione rom, non ci sia nulla di nuovo sotto il sole. Con un Progetto che pone la Capitale al di fuori di quell’effetto domino che vede in Italia innescarsi modelli virtuosi di superamento dei campi rom fondati sin dall’inizio sulla partecipazione dei residenti, i primi veri protagonisti di qualsiasi intervento di inclusione sociale che li riguarda. Per l’Amministrazione Gualtieri c’è tempo per correggere il tiro di un primo colpo tirato a vuoto. Ma bisogna farlo subito.

Articolo Precedente

Disturbi alimentari, boom durante il Covid: quasi 3 milioni di casi in Italia, il 30% sotto i 14 anni. Cresce la diffusione tra i maschi

next
Articolo Successivo

Energia, l’Italia paga la dipendenza dalla Nato e dal gas russo. È ora di spezzare vecchie catene!

next