Doveva essere il nuovo volto dell’Europa, l’unica personalità dalla statura necessaria a prendere il posto di Angela Merkel. Invece, almeno per ora, il peso diplomatico di Mario Draghi nella crisi russo-ucraina è rimasto vicino allo zero. E i partner occidentali si regolano di conseguenza. L’ultimo schiaffo al premier arriva dall’omologo polacco Mateusz Morawiecki, atteso in visita a Roma mercoledì, che ha dato forfait all’ultimo minuto per “problemi di agenda“: un modo elegante – o almeno così è sembrato – per dire che non valeva la pena di investire una giornata a volare fino in Italia, mentre centinaia di migliaia di profughi premono sul confine del Paese. Da palazzo Chigi, con un certo imbarazzo, assicurano che l’incontro “sarà riprogrammato” e che i due leader “avranno modo di avere prossimamente un colloquio telefonico”. E per rifarsi sottolineano – addirittura – che nelle stesse ore Draghi ha avuto una “conversazione telefonica con il Presidente della Repubblica dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev”. Ma l’autorevolezza del premier era già stata messa in crisi il giorno prima, lunedì, con l’esclusione dal vertice a quattro tra Joe Biden, Boris Johnson, Emmanuel Macron e Olaf Scholz. I leader di Francia, Germania, Usa e Regno Unito si sono sentiti in videocall da un capo all’altro dell’Atlantico, discutendo di sanzioni, negoziati e assistenza umanitaria. Mentre Draghi, occupato con le fibrillazioni della maggioranza sul catasto, si è dovuto “accontentare” di incontrare a Bruxelles la presidente della Commissione europea Ursula Von der Leyen.

Ancor prima, il 28 febbraio, il presidente del Consiglio era stato protagonista di un altro misunderstanding internazionale. Come ricostruito da Salvatore Cannavò sul Fatto, non essendo stato invitato alla cena di lavoro con Macron e Von der Leyen all’Eliseo, insiste con la Francia ottenendo di essere incluso. Ma poiché organizzare il viaggio all’ultimo momento risulta impossibile, chiede di partecipare da remoto. Da Parigi però spiegano che è molto complicato tenere una cena ufficiale con uno dei commensali in collegamento video: così, alle 20.41, palazzo Chigi è costretto a dichiarare la resa per “motivi tecnici”. Più in generale, dall’inizio della guerra l’ex banchiere centrale europeo non ha mai parlato con il presidente russo Vladimir Putin – con cui invece interloquiscono Scholz e Macron – né con il capo della Casa Bianca Joe Biden. Più volte, invece, ha sentito il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, ma il primo approccio tra i due è stato caratterizzato da una gaffe colossale del premier italiano. Riferendo a Montecitorio, Draghi aveva detto di aver “fissato un appuntamento telefonico” con Zelensky, ma che “non era stato possibile poi fare la telefonata perché il presidente non era più disponibile“. “La prossima volta cercherò di spostare l’agenda di guerra per parlare con Draghi in un momento specifico”, aveva risposto su Twitter il capo dello Stato ucraino.

Sembrano lontanissimi i tempi in cui il premier era accreditato dalla stampa – soprattutto italiana, ma anche estera – come il candidato più autorevole per il ruolo di leader de facto dell’Unione europea. Eppure basta rileggere gli articoli di fine settembre, nei giorni in cui Merkel terminava il proprio mandato da cancelliera. “Con l’uscita della Merkel entra in scena Draghi. SuperMario nuovo leader forte dell’Unione“, titolava il Giornale: “Il premier italiano al momento non ha rivali: già incoronato campione Ue”. “Crollato dopo la Brexit il vecchio asse Berlino-Parigi-Londra, afflitte da debolezza cronica le istituzioni formali della Ue, appare in difficoltà anche Emmanuel Macron”, assicurava l’inviato Massimiliano Scafi, mentre “la stella di Draghi è in salita rapida”. Sembrava crederci parecchio lo stesso ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che in tv sognava in grande: “Angela Merkel sta uscendo di scena. Quello che noi possiamo fare come Italia è cogliere questa opportunità per colmare questo vuoto di leadership con il nostro governo”. E anche Bloomberg incoronava l’ex capo della Bce: “Se qualcuno può guidare l’Europa dopo la Merkel, è Super Mario”, forte dell'”auctoritas” che gli viene “in parte dai suoi modi tecnocratici e diplomatici, in parte dalla sua carriera”, scriveva l’editorialista Andreas Kluth. Nessun dubbio nemmeno per Stefano Folli su Repubblica: “La transizione post-Merkel offre un’opportunità irripetibile a una personalità ovunque stimata come Mario Draghi per svolgere un ruolo di primo piano nell’Unione”. Il Messaggero: “Lo stallo della Germania è un assist per l’Italia. La Ue guarda a Draghi. Con i tedeschi alle prese con il rebus del governo e i francesi quasi in campagna elettorale, l’Italia assume un peso che la presenza di Draghi a palazzo Chigi rende evidente”.

Quando poi la Merkel scese a Roma per l’ultima visita ufficiale, si sprecarono i titoloni sull'”investitura“, il “passaggio di consegne“, la “simbolica staffetta” tra i due leader. Meno di sei mesi dopo, tutto è cambiato: nessuno Stato europeo sembra voler affidare a Draghi il mandato di rappresentanza diplomatica. Una parabola che ricorda quella vissuta dallo stesso Draghi nei mesi della corsa per il Quirinale: incensato dalla stampa come il candidato naturale e in pole position per la presidenza della Repubblica, ha scoperto sul campo – cioè in Parlamento – che il sostegno di cui era accreditato non aveva riscontro nei fatti.

Chi conserva un canale privilegiato col Cremlino è invece proprio Macron, che dall’inizio della guerra ha sentito Putin per ben tre volte, parlando di fatto anche a nome degli altri Paesi. Mentre il premier italiano, contrario alle sanzioni verso Mosca nel settore energetico, è stato criticato dal Wall Street Journal per le sue posizioni timide: “L’Italia esita su sanzioni dure nel momento sbagliato”, osservava il board editoriale del quotidiano, notando come l’Italia importa il 90% del gas ed è uno dei maggiori clienti europei della Russia. Il capo del governo “non vuole che la sua eredità di premier di unità nazionale sia macchiata da una crisi energetica, ma consentire l’imperialismo russo sarebbe una macchia ancora maggiore”, si leggeva. Sic transit gloria Draghi, verrebbe da dire.

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