L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha attirato sul Cremlino lo sdegno internazionale e ha messo in allarme – seppur sottotraccia – diversi Paesi dello spazio post-sovietico. Proprio quell’area oggetto del discorso “revisionista” sull’Urss tenuto da Vladimir Putin pochi giorni prima dell’attacco. Formalmente molti degli ex Stati membri dell’Unione Sovietica sono alleati di ferro di Mosca, ma ciò non basta ad annullare del tutto il timore di fare la fine dell’Ucraina. È il caso in particolare del Kazakistan: il ministro degli Esteri del Paese centroasiatico si è affrettato, dopo il riconoscimento russo delle repubbliche di Donetsk e Luhansk, a dichiarare di non considerare l’ipotesi di riconoscerle a propria volta. Una presa di posizione netta, a poche ore dalla mossa di Putin e a poche settimane dall’intervento della Csto – l’organizzazione di sicurezza a guida russa – che ha aiutato il presidente Kassym Tokayev a mantenere il potere, nonostante le partecipatissime proteste di piazza di inizio 2022 e una lotta intestina alla nomenklatura che avrebbe potuto farlo capitolare.

Il mix etnico nelle regioni del Nord – La posizione kazaca, quindi, ha ragioni più profonde di un semplice allineamento alla condanna internazionale della Russia. Il governo della capitale Nur-Sultan teme infatti che la parte settentrionale del proprio sterminato territorio possa prima o poi finire nel mirino di Putin, proprio come è successo alla Crimea e poi all’intera Ucraina. E i motivi per temerlo non mancano. Primo fra tutti il mix etnico: il Kazakistan ha una composizione demografica frammentata, figlia del dominio zarista prima e sovietico poi. Basti pensare che fino al 1989 la popolazione di etnia kazaca non arrivava al 40% del totale, mentre quella di etnia russa sfiorava il 38%. La presenza di russofoni è tuttora molto significativa nel Nord del Paese e causa rapporti a volte tesi a un separatismo strisciante. Nella capitale regionale, Petropavl, il 60% della popolazione è di etnia russa, dato che scende di poco in altri grandi centri dell’area, come Kostanay (42%) e Pavlodar (41%).

La retorica russa: “Il Kazakistan esiste grazie all’Urss” – La realtà etnica, quindi, parla chiaro. A questa però si aggiunge la retorica nazionalista, sfoderata a intervalli regolari da politici russi di primo piano. A fine 2020, ad esempio, il deputato Vyacheslav Nikonov di Russia Unita (il partito di Putin), ha rilasciato dichiarazioni eloquenti, che lette alla luce delle ultime ore suonano particolarmente sinistre. Nikonov si è infatti spinto ad affermare che il territorio del moderno Kazakistan è stato un dono russo e dell’Unione Sovietica, e che lo stesso concetto di una statualità kazaca non era mai esistito prima dell’arrivo dei colonizzatori. L’affermazione ha trovato il sostegno di altri politici russo nazionalisti e nostalgici del passato imperiale: lo stesso Putin, nel 2014, aveva detto più o meno la stessa cosa, sostenendo che il Kazakistan non fosse mai esistito prima della fine dell’Urss. Un’affermazione che causò grande sconcerto, portando anche all’arresto di alcuni separatisti di etnia russa nella parte settentrionale del territorio kazaco.

La contronarrazione kazaca – Le reazioni da parte kazaca nel corso degli anni non sono però mancate, sia sul fronte istituzionale sia su quello popolare. Da un lato, le autorità della repubblica hanno lanciato importanti piani di sviluppo e di propaganda per cercare di opporsi alle influenze che provengono da Nord. Un’azione, dal loro punto di vista, quantomai necessaria, considerato che nella regione a dominare sono i media russi e che i legami familiari tra i due lati del confine sono molto significativi, così come gli spostamenti transfrontalieri. Dall’altro, nel 2021 si è tenuta una folkloristica quanto partecipata manifestazione patriotica a cavallo – nella migliore tradizione delle steppe centroasiatiche – organizzata da cittadini di etnia kazaca residenti nella parte settentrionale dello Stato, per ribadire la sovranità nazionale su quella parte di territorio. Contromosse rilevanti ma che difficilmente potrebbero impedire a Putin di portare avanti un piano di annessione – o anche di semplice destabilizzazione – qualora l’inquilino del Cremlino decidesse di agire in tal senso.

Perché (per adesso) un’invasione è improbabile – C’è da dire, però, che la situazione del Kazakistan è molto diversa da quella dell’Ucraina. Per quanto molto aperto sul fronte economico, il Paese gravita pienamente nell’orbita russa dal punto di vista politico e militare, ancor più più dopo il supporto fornito senza batter ciglio dal Cremlino al regime in un momento di grande tensione interna. Putin ha quindi un credito ingente da agitare di fronte a Tokayev, fattore che accresce la sua già forte influenza politica sulle autorità kazake. Lo Stato centroasiatico, oltretutto, è tra i membri dell’Unione Economica Eurasiatica (che ha contribuito a fondare insieme a Russia e Bielorussia) e non rischia di scivolare nell’orbita di sicurezza occidentale come rischiava di fare l’Ucraina. Infine, una destabilizzazione del Kazakistan irriterebbe non poco la Cina, che nel Paese ha investito ingentissime quantità di denaro dal punto di vista infrastrutturale e logistico, soprattutto in seguito al lancio del progetto delle Nuove vie della seta. E senza dubbio Putin non vuole inimicarsi Pechino proprio in una regione dove, perlomeno al momento, il rapporto tra le due potenze scorre liscio. Insomma, nel breve periodo è difficile pensare che uno scenario ucraino si replichi nella parte settentrionale del Kazakistan. Ma anche solo lo spauracchio che ciò possa avvenire influenzerà non poco le mosse (geo)politiche del regime kazaco nei prossimi anni.

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