I giovani cittadini che oggi frequentano la scuola italiana, devono avere tutti gli strumenti per poter cambiare la società costruita dalle precedenti generazioni, perché non basta più adeguarsi al modello di lavoro, economico e sociale ereditato. L’attuale modello economico produce da 30 anni un aumento delle disuguaglianze e da oltre 50 un processo di devastazioni ambientali che minacciano la sopravvivenza della specie umana. Per questo la scuola deve fornire un contributo critico sullo sviluppo economico, sui percorsi di cittadinanza che devono cambiare il quadro del mondo del lavoro e delle imprese, rendendo gli studenti protagonisti del loro percorso di formazione.

Il M5S ha mantenuto la promessa di smantellare e riformare l’alternanza scuola lavoro, sostituita con la prima legge di bilancio nel 2018 dai “Percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento”, con nuove linee guida, con una riduzione del monte ore a 90 ore nel triennio finale per i licei, 150 per gli istituti tecnici e 210 per gli istituti professionali. Inoltre, anche quest’anno I PCTO, così come le prove Invalsi, non saranno requisito d’accesso per la maturità 2022, sulla strada tracciata negli anni scorsi.

Tuttavia gli episodi drammatici di Lorenzo Parelli di 18 anni, deceduto il 21 gennaio in un incidente presso una fabbrica siderurgica e ricordato dal Presidente Mattarella nel suo discorso di insediamento, così come quello che ha coinvolto Giuseppe Lenoci, 16 anni, morto in un incidente stradale mentre era in stage in provincia di Ancona, pongono l’attenzione sulla formazione professionale di competenza regionale e le loro regole sui tirocini, sugli stage e sulla sicurezza. E’ giusta la richiesta tanti studenti che nelle piazze italiane chiedono alle regioni una riforma sull’alternanza scuola-lavoro regionale.

Per troppo tempo i problemi e le inefficienze della società sono state scaricate sulla scuola e sui ragazzi. Da tempo il settore industriale, produttivo ed economico del nostro paese ha abbandonato o depotenziato le scuole di formazione industriali che in passato, dalla Olivetti alla Fiat, hanno dato un grande contributo al Paese. Il settore produttivo deve ritornare a investire in formazione e sicurezza, senza puntare il dito su scuola e università che sono principali custodi di un sapere di base e generale e di un sapere critico che deve essere ulteriormente potenziato e lo sforzo deve essere indirizzato a colmare l’enorme deficit sulle competenze di base, non solo tra i ragazzi ma anche tra gli adulti.

Va invece varata una piattaforma di formazione/lavoro per il mondo degli adulti, calibrata sulle esigenze di sviluppo territoriale in ambito nazionale e internazionale, individuando spazi e tempi dedicati alla formazione degli adulti dove il sistema scolastico può intervenire a supporto con l’utilizzo delle sedi scolastiche nel pomeriggio, mentre il Ministero del Lavoro può investire sulla creazione di una piattaforma digitale nazionale per la formazione che si integri al lavoro promosso dall’ex ministra Nunzia Catalfo sul Fondo Nuove Competenze.

Le politiche di formazione del lavoro nazionali e regionali, le politiche di ricollocamento, nonché quelle strutturate per il reddito di cittadinanza, possono contare su tante risorse europee e del PNRR, permettendo ai percettori di reddito di poter accedere alla formazione professionale e di essere supportati nell’acquisizione di titoli scolastici e universitari, perché il numero basso di diplomati e laureati resta un’emergenza del Paese.

Delegare tutti i problemi alla scuola e all’università e puntare il dito è uno sport diffuso in questo Paese e sarebbe il caso che si chiedesse piuttosto nei consessi europei di uscire dai vincoli di bilancio per permettere investimenti su spesa corrente, con l’aumento del personale per ridurre le classi pollaio e l’aumento degli stipendi nel mondo della scuola. Solo così il personale scolastico riuscirà a buttarsi alle spalle la condizione di cenerentola delle professioni nel nostro Paese.

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