Immaginate un doppio fondo azionabile tramite un pulsante. Invisibile all’occhio umano. E un autotrasportatore che preme quel pulsante al momento più opportuno per bypassare eventuali controlli e portare a termine il suo piano: mischiare latte con acqua. Il motivo? Far risultare un quantitativo maggiore di prodotto, riuscendo così a guadagnare più soldi. È quanto è accaduto nei mesi scorsi all’interno di una delle sotto-cooperative afferenti al gruppo Cooperlat Trevalli, cooperativa agroalimentare di secondo grado con sede a Jesi, in provincia di Ancona, composta da 11 socie dislocate in 7 regioni, tra le più importanti aziende in Italia nel settore caseario. Il fatto ha portato all’apertura di un’indagine che vede coinvolto un autotrasportatore accusato di frode alimentare.

L’inchiesta, condotta dai carabinieri del Nas di Ancona sotto la guida del capitano Tonino Marinucci e coordinata dai magistrati di Ascoli (il procuratore Umberto Umberto Gioele Monti e il sostituto Mara Flaiani), è partita da una segnalazione di non conformità del latte svolta dal perito Daniele Seniga, carabiniere in congedo che da anni lavora nel campo dell’industria del latte come “controllore” della qualità. Un lavoro che svolge da esterno alle cooperative, ma che è necessario per certificare che il latte e i prodotti derivati che arrivano sulle nostre tavole siano effettivamente di qualità. Per i vertici di Trevalli il fatto è stato considerato come “isolato” e immediatamente denunciato. Ma secondo Seniga, sentito da ilfattoquotidiano.it, va visto come un “sistema”. Per il tecnico, infatti, è “impensabile” che un investimento simile, con la trasformazione del mezzo in un complesso sistema di botole a scomparsa, venga fatto dal singolo autotrasportatore senza un tornaconto periodico. Dalla procura, però, fanno sapere che al momento è stato solo effettuato l’incidente probatorio su due mezzi, considerati “incriminati”. Ma andiamo con ordine.

Il fatto – Tutto comincia il 12 marzo 2021 durante un normale controllo di Seniga all’interno della cooperativa Sibilla di Amandola, afferente appunto a Trevalli, che produce in primis mozzarelle. Mischiare latte con acqua, secondo gli standard è consentito in percentuali minime, di fatto vicino allo zero. “Eppure quel giorno ho trovato circa 500 chili di acqua su un carico di circa 11mila chili di latte”, spiega Seniga a ilfattoquotidiano.it, cioè “circa il 5% di acqua”. All’arrivo del camionista il perito effettua due analisi: la prima prelevando latte direttamente all’interno dell’autocisterna e la seconda prendendo un campione di prodotto dopo lo scarico in un tank, cioè un contenitore apposito per prodotti caseari. I risultati non lasciano dubbi: il latte prelevato dalla cisterna è perfettamente conforme ai valori di qualità richiesti da Trevalli, ma quello analizzato nel contenitore no. “In pratica solo dopo lo scarico il latte non era più idoneo – spiega il tecnico – Aveva una crioscopia, cioè il valore che quantifica il totale di acqua aggiunta all’interno del latte, totalmente difforme. Superava qualsiasi limite tollerabile dalla legge”. Le ripetute analisi successive effettuate da Seniga confermano il primo risultato.

Nonostante l’espressa richiesta di Seniga di “non far uscire l’autotrasportatore”, il latte “contaminato”, il giorno seguente “sparisce”: “Il camionista lo aveva portato fuori dal luogo di conferimento (la cooperativa ndr)”. Così il perito aspetta ancora un giorno e domenica 14 marzo attende una nuova consegna: “All’arrivo dell’autotrasportatore ho chiamato i carabinieri di Amandola che hanno sequestrato il camion“. È in quest’occasione che il camionista, ormai scoperto, conferma il sospetto di Seniga: il camion ha un “doppio fondo“, un sistema semplice che di fatto divide la cisterna in due parti, una contenente latte e una contenente acqua, azionabile grazie a un telecomando elettronico dopo il primo eventuale prelievo di controllo. A confermare la “confessione”, raccolta in un audio sul tavolo dei magistrati, anche l’inchiesta della procura di Ascoli che ha sequestrato due mezzi e, grazie a un incidente probatorio, ha confermato l’esistenza del sistema. Oltre all’evidente danno verso i consumatori, ad essere vittima di questa pratica, è in primis la Cooperlat Trevalli. “In pratica – spiega ancora Seniga – Cooperlat paga molto più latte di quanto in realtà ne riceve, essendo ‘allungato’ con acqua. La stessa cosa vale per il trasporto”. Sì perché se da una parte è la singola cooperativa a pagare l’autotrasportatore, la Sibilla in questo caso, dall’altra è proprio Cooperlat Trevalli che, a sua volta, dà soldi alla singola cooperativa per pagare il trasporto, “che in realtà è fatto in parte di acqua”.

La posizione di Trevalli – Dopo il fatto Cooperlat Trevalli denuncia immediatamente l’autotrasportatore. “Per tutelare l’azienda, venuto a conoscenza della frode ho denunciato – ci racconta al telefono Pietro Cotellessa, ex presidente della Cooperativa, ora nel consiglio d’amministrazione – Lui ci disse molte cose, alle quali però non potevo dare credito. Noi abbiamo fatto internamente quello che dovevamo fare, ma non avevamo elementi in mano per andare oltre. Mi aspettavo che la procura indagasse in maniera più ampia, anche alla luce di quello che l’autotrasportatore ha denunciato (nell’audio ndr.) e poi ritrattato”. Al momento quindi per la Cooperlat Trevalli non c’è il “sistema” che Seniga sospetta e che tira in ballo non solo il singolo autotrasportatore ma evidentemente altre persone coinvolte in vari modi con lo stabilimento in cui è stato commesso il fatto. “Ci sono indagini in corso – taglia corto parlando al Fatto.it Paolo Fabiani, attuale presidente dell’azienda leader del caseario – Ma a oggi nessuno ci ha comunicato niente di quanto emerso. Io credo che la cooperativa Sibilla sia parte lesa e l’autotrasportatore, un lavoratore esterno della zona abruzzese, dopo il fatto è stato bloccato”. Insomma, dentro Trevalli il fatto si è chiuso con il solo allontanamento del camionista. Alla domanda però su che ritorno possa avere un simile comportamento per un autotrasportatore che agisce in maniera autonoma e isolata, Fabiani è vago: “Non so dire che ritorno possa aver avuto – chiosa – Lo spiegherà a chi di dovere se dovrà spiegarlo. Per noi se ci sono anomalie prendiamo le distanze”. Dopo l’episodio, Seniga a ottobre 2021 è stato sollevato dall’incarico e i controlli, ci dice il tecnico, sono stati “affidati internamente”. La Trevalli, però, sottolinea che in ogni caso le ispezioni restano puntuali “a ogni scarico del latte“.

L’esperto – Isolato o meno che sia, l’episodio fa riflettere. “Non è permesso aggiungere acqua nel latte di tutte le specie, nessuna percentuale è tollerata”, spiega al Fatto.it Nicola D’Alterio, direttore generale dell’Istituto zooprofilattico di Teramo. Aggiungere acqua, quindi, è “una frode commerciale” che consiste nell’aumentare “deliberatamente il volume del latte” che “veniva” e a volte “viene ancora oggi pagato al litro”. Per questo, racconta ancora D’Alterio, per disincentivare le aggiunte deliberate, che non sono nuove al mondo dell’industria casearia, in molti casi oggi il latte “non viene più pagato in base al volume” ma “in base al contenuto di proteine e altri componenti”, vale a dire sulla qualità. Gli effetti peggiori della frode scoperta da Seniga, secondo il direttore, “potrebbero essere determinati dall’uso di acqua non destinata al consumo umano, o peggio contaminata da contaminati biologici o chimici”. Di che tipo fosse l’acqua aggiunta dall’autotrasportatore arrivato il 12 marzo 2021 allo stabilimento Sibilla, però, non è possibile saperlo. In caso di acqua non potabile i danni “potrebbero essere tanti”, sia “di tipo biologico per la presenza di virus, batteri o parassiti” sia “per la presenza di contaminati chimici”. E, conclude, “in altri casi i batteri sopravvivono negli alimenti e si trasmettono all’uomo, causando malattia”.

Questo tipo di tentativo di frode, specifica ancora l’esperto, “era molto diffuso nel passato”. Oggi, grazie ai controlli eseguiti alla consegna e al pagamento “a qualità”, questa frode “è meno frequente”. “Per questo sarebbe molto interessante approfondire le indagini e sottoporre il latte in questione ad analisi approfondite per verificarne l’autenticità”. Peccato che da allora sia passato quasi un anno: il latte “incriminato” è sparito in un batter d’occhio e non è dato sapere se sia finito o meno sulla tavola degli italiani.

Immagine d’archivio

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