Insensate. Non c’è altro modo per definire il neonato schema di determinazione delle le tariffe previste nei Livelli essenziali d’assistenza (Lea) sulla Procreazione medicalmente assistita (Pma). Medici e pazienti hanno aspettato 5 anni prima di vederle partorite e quello che ne è venuto fuori sembra un vero e proprio pasticcio. Tanto che gli operatori del settore si stanno battendo affinché questa bozza del decreto venga modificata.

Cifre alla mano: nel tariffario a una procedura complessa e articolata come la fecondazione in vitro è stato attribuito un valore complessivo di circa 1.290 euro che non trova alcuna corrispondenza nella realtà. O ancora: una visita specialistica alla coppia è stata “prezzata” con la somma di 22 euro, come se a un’anamnesi e a una diagnosi accurata valessero così poco. Le cifre reali, infatti, sono ben altre. Basta sfogliare i documenti approvati dalla Conferenza delle Regioni nel 2014 e dare un’occhiata al lavoro compiuto da parte del Sub-Tavolo della Pma della Conferenza delle Regioni nel 2017 per farsi un’idea. A seguito di un attento calcolo degli stessi dirigenti regionali era stata indicata la somma di 2.318 euro per la fecondazione omologa, 5.180,15 euro come base per la fecondazione con donazione di gameti femminili e 2.925 per la fecondazione con donazione di gameti maschili. Insomma cifre molto lontane dalle tariffe appena partorite e addirittura sottostimate, se consideriamo che andrebbero aggiornate dopo 5 anni.

Lo schema di determinazione delle tariffe per la pma ha talmente sconcertato gli operatori del settore, pubblici e privati, che si sono uniti in una petizione: oltre a chiedere idi modificare il nuovo tariffario, gli operatori chiedono chiaramente che vengano resi noti i criteri che hanno portato a stabilire le cifre. Perché, a detta degli specialisti, nel nuovo tariffario non sarebbero state considerate moltissime voci di spesa per la struttura che deve erogare il servizio. “Non è stata presa in considerazione la necessità di approvvigionamento di cellule e gameti nonché degli accertamenti da effettuare per la cosiddetta fecondazione eterologa”, si legge nella petizione. “Non sono stati presi in esami – continua – i costi diretti e indiretti riguardanti i requisiti strutturali; di validazione, manutenzione e controllo delle apparecchiature, di strumenti e di impianti; di certificazione; di formazione continua degli operatori, di implementazione di sistemi di monitoraggio con allarmi in remoto e relativa manutenzione. Non si è considerata l’entità delle spese generali e dei costi relativi al personale a cui oltre all’esperienza e competenza, è attribuita una responsabilità civile, penale e amministrativa. Non è stato attribuito un codice per l’attività di scongelamento embrionario, per le prestazioni chirurgiche maschili, per il monitoraggio ecografico dell’endometrio per il transfer di embrioni congelati. Non è stata compresa la sedazione cosciente. Non è stata inserita la diagnosi pre-impianto, pur dichiarata legittima dalla Corte costituzionale e offerta a tutte le coppie con problemi genetici trasmissibili alla prole”.

Troppe sviste insomma che hanno portato gli operatori del settore a chiedersi perché il ministero della Salute non abbia considerato la necessità di ascoltare il mondo della Pma e in particolare le società scientifiche di riferimento, le associazioni e altre organizzazioni del settore, prima di stabilire queste tariffe. Il rischio è quello di compromettere l’accesso alla Pma a tutte quelle coppie che ne hanno diritto. Nessuna struttura pubblica e ancor di più nessuna struttura privata convenzionata potrebbe offrire ai pazienti cure e assistenza a queste cifre.

“Chiediamo con fermezza che il decreto in oggetto – conclude la petizione – non sia approvato e siano sospesi i lavori di valutazione sullo schema di definizione delle tariffe da parte della Conferenza delle Regioni nonché si costituisca un Tavolo istituzionale dove sia rappresentato il settore della Pma, con le sue società scientifiche e le sue organizzazioni, insieme alle Regioni e Province autonome, al ministero della Salute e alle organizzazioni dei cittadini e dei pazienti, garantendo fin da ora una reale ed effettiva interlocuzione così da arrivare a una definizione e poi a una valorizzazione che non penalizzi le strutture, gli operatori e le persone che si sottopongono ai trattamenti di Pma”. La petizione non è passata inosservata tanto che nei prossimi giorni il ministero della Salute ha convocato un gruppo di rappresentanti del mondo della pma per discuterne insieme. Meglio tardi che mai.

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