di Roberto Iannuzzi *

Uno strano fenomeno di dissonanza cognitiva attanaglia l’Occidente. Ci ergiamo a difensori della democrazia contro il prepotente ritorno di “regimi autoritari” come Russia e Cina, ma i nostri governi non fanno nulla per difendere i valori democratici a casa nostra.

Lo scorso dicembre Joe Biden, presidente del paese leader del “mondo libero”, ha convocato un “Vertice per la Democrazia” che riuniva capi di governo, esponenti della società civile, e l’immancabile settore privato, per “definire un’agenda di rinnovamento democratico e fronteggiare, attraverso un’azione collettiva, le maggiori minacce che incombono sulle democrazie di oggi”. L’impressione che l’evento ha suscitato, tuttavia, è quella di un maldestro tentativo di mettere insieme un raffazzonato fronte di paesi da contrapporre a Mosca e Pechino in una sorta di crociata ideologica guidata da Washington. Quella fra gli Stati Uniti e il fronte russo-cinese, via via più compatto anche grazie alle improvvide azioni americane, è una contrapposizione geopolitica che nulla ha a che vedere con la democrazia.

Nel frattempo i dati indicano che sono proprio gli Usa ed i loro alleati ad avere le maggiori responsabilità nella crisi globale delle democrazie dell’ultimo decennio. L’emergenza viene dall’interno. Il recente movimento di protesta sorto in Canada (e altrove) è solo l’ultimo esempio di un malessere che è esploso a più riprese in quasi tutti i paesi occidentali, che precorre l’attuale crisi scatenata dal Covid-19, e che non ha affatto connotazioni esclusivamente sanitarie.

La crisi del 2008 è stata un punto di svolta. Le misure di austerità (di cui le fasce più disagiate e meno responsabili del tracollo hanno sopportato il fardello maggiore), le crescenti disuguaglianze, l’aumento della corruzione, il potere sempre più incontrollato delle multinazionali e dei grandi gruppi economici, la spettacolarizzazione del processo elettorale, hanno svuotato la democrazia dall’interno. Davanti all’inarrestabile deterioramento del clima economico e sociale, le élite al potere hanno reagito ricorrendo ad un unico schema: la logica dell’emergenza, e la demonizzazione del dissenso. Di fronte all’emergenza economica, chi dissentiva dalla narrazione ufficiale sull’austerità veniva bollato come “populista”. Di fronte all’emergenza sanitaria, le “esigenze di austerità” si sono sciolte come neve al sole, ma stavolta chi dissente dalla narrazione ufficiale viene bollato come “no vax”.

Le manifestazioni che stanno avendo luogo in Canada sono emblematiche di questo processo. Sorte come un movimento di camionisti contro l’obbligo vaccinale loro imposto per oltrepassare il confine, esse si sono ingrossate coinvolgendo agricoltori, lavoratori e gente comune, al punto che circa un terzo dei canadesi ormai appoggia la protesta, secondo un recente sondaggio. Fra coloro che non la sostengono, molti la ritengono comunque legittima.

Va rilevato che il malcontento è rivolto contro le draconiane misure sanitarie imposte dal governo, ma non è a priori contro i vaccini, sostenendo piuttosto la libertà di scelta (molti dei camionisti sono vaccinati). Multietnica e multiculturale nella sua composizione (fra gli organizzatori figurano un ebreo e una donna meticcia), la protesta comprende molti di quei “lavoratori essenziali” che rimasero esposti in prima linea durante la fase epidemica più acuta, e che subiscono le crescenti disuguaglianze provocate dalle scelte politiche volte a contrastare la pandemia. Eccetto alcuni eccessi sporadici, il dissenso è stato espresso in maniera tutto sommato ordinata e civile.

Ciò non ha impedito al premier canadese Justin Trudeau di demonizzare il movimento definendolo una “minoranza marginale”, per di più antisemita, razzista, omofoba e talvolta violenta, che “blocca la nostra economia e la nostra democrazia”.

Dal canto suo, l’ex governatore della Banca centrale canadese Mark Carney ha scritto che è tempo di ristabilire la legge ponendo fine alla “sedizione ad Ottawa”. Carney è fra l’altro un esponente di spicco del World Economic Forum, il cui direttore e fondatore Klaus Schwab nel 2017 si vantava del fatto che, grazie ai giovani leader come Trudeau formati dalla sua organizzazione, “noi penetriamo i governi”.

Ora, si può dissentire dalla protesta dei camionisti canadesi, ma dichiarazioni come quelle di Trudeau e Carney paiono non degne di leader democratici. Se tali manifestazioni sono una minaccia alla democrazia, ci si può chiedere come mai il Canada, insieme a tutte le democrazie occidentali, sostenne nel 2014 la protesta ben più violenta di piazza Maidan a Kiev, realmente infiltrata da estremisti neonazisti, che puntava dichiaratamente a rovesciare un governo corrotto ma pur sempre democraticamente eletto. Ma questo è solo un esempio. Ci si potrebbe anche chiedere come Biden, l’organizzatore del recente Vertice per la Democrazia, sostenga le monarchie assolute di Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti nella loro sanguinosa campagna militare nello Yemen che, nel silenzio totale dei media, sta inasprendo la più grave crisi umanitaria internazionale degli ultimi anni.

Prima di guardarci spasmodicamente attorno in cerca di presunte minacce esterne alle nostre democrazie, sarebbe dunque il caso di fare ordine in casa nostra, fra l’altro anche per avere maggiore credibilità sulla scena internazionale.

* Autore del libro “Se Washington perde il controllo. Crisi dell’unipolarismo americano in Medio Oriente e nel mondo” (2017).
Twitter: @riannuzziGPC
Medium: @roberto.iannuzzi

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