I dati sulle moratorie dei prestiti alle imprese garantiti dallo Stato hanno il sinistro ticchettio di una bomba ad orologeria. Che potrà essere forse fatta brillare senza gravi conseguenze ma che rischia di costare ai contribuenti fino a 10 miliardi di euro. Un passo indietro. Nelle fasi iniziali della pandemia il governo, come fatto in molti altri paesi d’Europa, decide di sostenere le aziende anche attraverso lo strumento della garanzia sui crediti. In sostanza il Tesoro si fa carico di eventuali insolvenze per una cifra fino all’80% dell’importo erogato dalle banche. In questo modo le imprese hanno più facilità ad ottenere i prestiti e possono pagare interessi più contenuti poiché i rischi per la banca sono modesti.

Il decreto legge Sostegni bis del maggio scorso offre la possibilità di chiedere una moratoria su questi finanziamenti, ossia vengono congelati i pagamenti degli interessi e i rimborsi, fino a fine 2021. Ma, a fine gennaio e in assenza di ulteriori proroghe, la moratoria scade e i beneficiari dei finanziamenti dovranno riprendere a versare interessi e restituire le somme. Non è detto che tutti siano in grado di farlo, soprattutto imprese del settore del turismo e del commercio duramente colpite dall’ultima ondata della pandemia.

Pochi giorni fa i tecnici del Tesoro, dello Sviluppo economico, di Banca d’Italia e dell’Associazione delle banche italiane diffondo i dati sulla situazione al 31 dicembre scorso. Emerge che l’ammontare dei prestiti per cui viene chiesta la garanzia allo Stato ammonta a 221 miliardi di euro a cui si aggiungono 32 miliardi garantite da Sace (altra branca del Tesoro) ma, soprattutto, che sono ancora attive moratorie su prestiti per 44 miliardi di euro. In particolare le moratorie che fanno ad aziende non finanziarie valgono a 36 miliardi di euro, per la quasi totalità (32 miliardi) concesse ad imprese medio e piccole in virtù del decreto “Cura Italia” del 2020. I calcoli sul possibile impatto dei mancati rimborsi sono complicati dal fatto che già prima del decreto lo Stato offriva una garanzia tramite il fondo per le Pmi sul 33% dell’offerta. Al momento non è però noto quanta sia la quota di prestiti garantita al 33% e quelle che arrivano invece fino all’80%.

Secondo una simulazione de IlSole24Ore, in cui si ipotizza che tutti i 32 miliardi in moratoria non vengano rimborsati e lo Stato debba alla fine farso carico del 33%, l’esborso per le casse pubbliche si aggirerebbe introno ai 10 miliardi. Come ricorda il quotidiano di Confindustria il taglio medio dei prestiti richiesti dalle Pmi è di 200mila euro con una durata del finanziamento di 8 anni e interessi del 2%. Le rate sono solitamente semestrali. Non destano invece particolari preoccupazioni i dati relativi alle famiglie, tradizionalmente molto ligie nel rispettare i loro obblighi creditizi. I prestiti coperti da garanzia valgono 6 miliardi di euro. I mutui congelati grazie al fondo Gasparrini previsto con il decreto Cura Italia si fermano ad un miliardo di euro.

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