Romanzi, manuali, autobiografie, biografie non ufficiali, racconti messi nero su bianco da una “talpa”. Gli ultimi mesi sono stati particolarmente floridi per la letteratura sportiva. Una buona notizia, soprattutto ora che con l’Epifania alle porte ogni scusa è buona per regalare (o regalarsi) un libro. E visto che il tempo stringe, ecco che ilfattoquotidiano.it ha scelto alcuni volumi, non necessariamente i più belli ma comunque fra i più interessanti, che possono diventare un’ottima idea da mettere nella calza.

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TINO PRIMA DI ASPRILLA
Immensamente amato, minimamente compreso. Tino Asprilla è stato uno dei tanti prodigi che si sono abbattuti sulla Serie A degli anni Novanta. Un calciatore unico, capace di seminare marachelle come se fossero dribbling, di rincorrere il sesso ancora più del gol. Gli sono bastate 25 reti per diventare icona, santino di una curva che fino a qualche tempo prima era imprigionata nell’estrema periferia del calcio e che improvvisamente si era ritrovata a diventare centro. Il racconto di Asprilla parte da lontano, da una Colombia ancora poco conosciuta e difficilmente raggiungibile, una terra martoriata dall’attività dei narcos ma allo stesso tempo devota a Pablo Escobar (“percepii quanto questo personaggio fosse amato, se non addirittura venerato, nonostante l’attività che svolgeva”, racconterà uno dei protagonisti del volume). È lì che ha inizio la genesi del talento di Asprilla, in una dimensione dove cronaca e leggenda si sovrappongono fino a diventare indistinguibili. Nel piccolo centro agricolo di Tuluà Tino impara ad annacquare i sogni con la concretezza. Gli piacerebbe diventare un musicista di salsa. Ma capisce che il pallone potrebbe dargli molto di più, potrebbe farlo addirittura diventare ricco. È una constatazione che diventa stella cometa, una contabilità spicciola che indirizza una vita intera. Asprilla inizia a giocare e dribbla la strada, quella che aveva lasciato a terra il suo amico Guido, un bambino che non ha avuto il tempo di crescere perché la pistola con la quale stava giocando aveva deciso di sputargli un colpo in testa. Il destino ha in serbo per Tino un’autocombustione diversa. Inizia quando Pastorello, il ds del Parma di Calisto Tanzi, decide di partire per la Colombia sotto falso nome. Alloggia nello stesso albergo dove si ritrovano i magistrati impegnati nel maxiprocesso ai re della droga locali. È l’incipit di una trattativa surreale che porterà in Italia un giocatore portentoso, che del Parma sarà prima oggetto misterioso e poi feticcio. Un libro che racconta la parabola più umana che tecnica di uno dei giocatori simbolo di quel periodo lontano in cui la Serie A era il campionato più bello del mondo.

Enzo Palladini, Il pallone ai tempi di Tino Asprilla, Edizioni Incontropiede, 154 pagine, 17.50 Euro
Piacerà a: chi vuole immergersi in un viaggio nel tempo alla riscoperta di un giocatore e di un campionato irripetibile.

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ATLANTE PER CAPIRE DAVVERO IL CALCIO
A furia di ripeterla quella frase di Mourinho ha perso buona parte della sua carica. Passando di bocca in bocca è diventata filastrocca da cioccolatino, aforisma vuoto. “Chi sa solo di calcio non sa niente di calcio”, si dice. Ma è una verità solo parziale. Per rendersene conto basta leggere il libro di Emiliano Battazzi, un volume che già dal titolo si muove esattamente nella direzione opposta. Perché chi parla di calcio, deve pur saper qualcosa di calcio. La lente di ingrandimento è puntata solo sul campo. Tutto quello che succede fuori dal rettangolo di gioco lì viene lasciato. Il punto di partenza è Italia ’90. Un Mondiale brutto, anzi, bruttissimo. Ma che diventa punto di svolta. È lì che il Gioco inizia a mutare. Una volta per tutte. Merito dei nuovi regolamenti. Merito anche della rivoluzione che Sacchi ha imposto al nostro calcio. È l’incipit di un viaggio lungo trent’anni, durante il quale Battazzi racconta tutta la parabola tattica del pallone tricolore. Ci sono dentro tutti. Zeman, Capello, Lippi, Ancelotti, Scala, Guidolin, Lippi, Spalletti, Conte, Mourinho, Sarri, Allegri, Gasperini. Ognuno con le sue idee. Ognuno con le sue ossessioni. Ognuno con i suoi punti di riferimento. Ognuno con le sue parole chiave. Qualcuno di loro ha innovato. Altri hanno optato per una sintesi fra tendenze diverse. Tutti, però, hanno lasciato qualcosa di importante. Pagina dopo pagina Calcio Liquido diventa una bussola. Guardare al passato diventa fondamentale per capire il presente. Ma anche il futuro. Perché riscoprire la tattica è una condizione fondamentale per poter digerire un calcio sempre più complesso e basato sui dettagli. Il lavoro di Battazzi è sontuoso. Per precisione e per sintesi. È una lectio magistralis lunga 280 pagine, una manuale che scorre via come un romanzo. Un libro destinato a diventare un classico, uno dei migliori di questo 2021.

Emiliano Battazzi, Calcio Liquido – L’evoluzione tattica della Serie A, 66thand2nd, 248 pagine, 16 euro.
Piacerà a: chi vuole davvero in profondità l’evoluzione che il calcio ha avuto in questi ultimi tre decenni. Ma anche a chi vuole fare bella figura nelle discussioni con gli amici.

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LA TALPA DEL MONDIALE
Italia ’90 stato molto più di un semplice campionato del mondo. È stato un appuntamento che ha influenzato enormemente il modo in cui una comunità intera rappresentava se stessa. La sua iconografia è diventata cultura pop, le sue storie memoria collettiva. Un mondiale bruttissimo (almeno sul campo), ma che col tempo si è trovato ammantato da uno strato di dolce nostalgia. Di Italia ’90 si è parlato molto. Sotto ogni punto di vista. Ora però il libro di Stefano Olivari torna sull’argomento nell’unico modo possibile: dando voce ai protagonisti dell’epoca. Anzi, a un solo protagonista. Dietro al nome in codice “Azzurro di Vicini” si nasconde una gola profonda, un informatore che ha vissuto quei giorni (“Io ero uno di loro, anzi, uno di noi, e nemmeno fra i peggiori”, scrive il calciatore) e che li racconta apertamente, grazie anche allo spazio di manovra che gli viene concesso dall’anonimato. Il risultato è un libro che si legge tutto d’un fiato e che catapulta il lettore nel ritiro, negli spogliatoi, nel campo da gioco. L’immersione è totale e totalizzante. Anche perché nel libro non è una guida alle singole partite della Nazionale, ma un diario in soggettiva che tiene insieme una serie di frammenti, di ricordi, di osservatore del protagonista. E quindi non mancano passaggi interessanti. In un ritiro sconvolto dalla contestazione dei tifosi della Fiorentina per la cessione di Baggio alla Juventus, Azzurro di Vicini scrive: “Per come conosco Roberto sono sicuro che mai prenderà una posizione netta: vuole essere amato da tutti, anche se nel calcio non è possibile”. E ancora: “Io che non ho fatto grandi studi, ma sempre più di molto compagni di squadra, mi chiedo: quale sarà la convenienza dei Pontello? Non ne uscirebbero meglio come immagine a vendere una Fiorentina con Baggio in squadra ad un prezzo ovviamente maggiore?”. Ma la parte più interessante, ovviamente, riguarda i rapporti di Vicini. Sia con chi è all’esterno del ritiro. Sia con chi, invece, è parte integrante della squadra. Ne emerge la sopportazione del ct per la visita di Bearzot e il senso di sollievo per l’eliminazione degli Azzurrini di Maldini dall’Europeo di categoria. Senza dimenticare le gerarchie create da Vicini e messe in discussione dal suo “Azzurro”, che sottolinea come Pagliuca fosse in realtà il migliore portiere fra i tre a disposizione del commissario tecnico e di come Vierchowod meritasse il posto di Ferri. Una narrazione condita da episodi a volte simpatici e a volte grotteschi, come la squadra che va a messa con la scorta e la visita di Robert Plant al ritiro di Coverciano.

Stefano Olivari e “Azzurro di Vicini”, L’Italia del ’90 – Storia segreta del nostro Mondiale, Indiscreto, 137 pagine, euro 14.90.
Piacerà a: chi è alla ricerca di un punto di vista diverso e unico su un Mondiale che è stato davvero “nostro”.

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STORIA INTIMA DI UN SUPEREROE
Ci sono etichette che ti si appiccicano addosso senza andare più via. Momenti che si sovrappongono a una vita intera, che finiscono per imprigionare un’esistenza in una sola definizione. È stato così anche per Walter Zenga. Perché il portiere più forte della sua generazione, l’uomo che volava da un palo all’altro con la grazia di un supereroe, ha finito per diventare il capro espiatorio dell’eliminazione dell’Italia nel Mondiale casalingo. Una riduzione che non rende giustizia a un portiere iconico, a un calciatore straordinario. Ora Zenga ha deciso di raccontare Zenga. A modo suo. Con un’autobiografia dove ogni parola è impregnata di nostalgia. A partire dal titolo, “Ero l’Uomo Ragno”, con quel verbo al passato che indica un affrancamento irreversibile dal passato. Il protagonista è Zenga, ma è soprattutto Walter. Il ragazzino di viale Ungheria cresciuto fra i 500 appartamenti di edilizia popolare nella periferia di Milan. Un “microcosmo” che il portiere si porterà sempre dietro, che forgerà il suo carattere e che, al tempo stesso, gli verrà rinfacciato nel corso della sua vita. Proprio come accaduto dopo il suo litigio in diretta con Varriale, quando i giornali dedicarono al tecnico del Catania il titolo “È tornato il bullo di viale Ungheria“. L’altro grande macrotema affrontato da Zenga è quello degli affetti. Soprattutto per quanto riguarda il rapporto con il padre Alfonso, l’uomo che ne ha indirizzato il destino con un regalo (un pallone di cuoio come quello utilizzato in Serie A e un completo da portiere), che pur essendo juventino lo portava a San Siro, che lo ha deluso. Un rapporto conflittuale che ha scandito la vita di Zenga. Prima da giocatore. Poi da allenatore. Ma sono tante le figure interessanti che si affacciano fra le righe della sua autobiografia. Come il dirigente della Salernitana che, dopo averlo pizzicato in un locale notturno alle sei del mattino, si sente sputare in faccia la frase: “Cosa ci faccio qui? Mi ero svegliato presto e avevo deciso di venire a fare colazione”, a Nedo Sonetti, un allenatore che ha un significato particolare per il giovane Walter. E non solo perché chiede al suo portiere di far iniziare l’azione offensiva. Ma anche per un siparietto piuttosto particolare. Durante un allenamento Zenga manda a quel paese il mister. Poi inizia a scappare a grandi falcate verso lo spogliatoio. Sonetti arranca ma insiste, comincia a picchiare contro la porta urlando “Apri, cretino!”. Un libro in cui Zenga non fa sconti a se stesso. Racconta le sue delusioni, come l’esclusione dall’Italia di Sacchi, e anche le sue “partite maledette”, come il rogo del Ballarin e la semifinale contro l’Argentina a Italia ’90. Tutto in un volume capace di generare empatia.

Walter Zenga, Ero l’Uomo Ragno – La vita, il calcio, l’amore, Cairo Editore, 235 pagine, 17 euro.
Piacerà a: chi vuole scoprire i segreti di un personaggio molto controverso, che è stato anche uno dei giocatori più iconici del nostro calcio.

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UN MITO ALLO SPECCHIO
Lo stadio di Pasadena come calamita che attrarre ogni singolo pensiero. Anche a distanza di anni. La biografia di Franco Baresi (scritta con Federico Tavola) parte da quel pomeriggio di luglio del 1994 e lì ritorna. Costantemente. Dietro ogni pagina, dietro ogni racconto, c’è sempre il riflesso di quel rigore maledetto, di quella gioia abortita a un passo dalla sua esplosione. La disfatta contro il Brasile a USA 1994 pesa come un macigno sulle spalle del libero azzurro. Ma in qualche modo ne ha anche consacrato la grandezza. Un difensore che nel corso della sua carriera è andato oltre al concetto stesso di vittoria e di sconfitta. Il volume è un viaggio emozionale che parte da un casale di Travagliato, nella campagna di Brescia. È lì che inizia la cosmogonia del mito Baresi. Franco fa il bagno dei fossi inondati per l’irrigazione, corre a piedi scalzi sui prati, mangia solo quello che gli prepara la mamma, si lava in un bagno che è all’esterno del casale di famiglia, in una tinozza, con l’acqua riscaldata. È lì che inizia a giocare a calcio. Prima con un pallone bitorzoluto. Poi con uno vero. Il racconto della propria vita viene intervallato con quello di una partita diventata topos letterario, condanna eterna. Un match che mette fine a doppia storia. Personale e collettiva. Perché quella contro il Brasile resterà la sua ultima presenza in Azzurro. Baresi dice addio alla Nazionale. È una decisione complessa e dolorosa. Ma è il frutto di una riflessione che quando riguarda se stessi diventa spietata. «Ritirarsi non è facile – scrive il libero nell’ultimo capitolo del suo libro – È importante scegliere il momento giusto, senza che ci siano rimpianti e senza diventare ingombrante. È difficile individuare quel momento. C’è il rischio di credersi ancora utili anche se non è così». L’immagine del numero sei azzurro che piange sulla spalla di Sacchi ha finito per sovrascrivere buona parte della sua carriera, per identificarlo tanto quanto (se non addirittura di più) i trofei che ha vinto con il Milan. Un finale amaro che lo ha reso più umano, un mito condiviso da una nazione intera.

Franco Baresi, Libero di sognare, Feltrinelli, 120 pagine, Euro 15.
Piacerà a: chi è alla ricerca più di un racconto emozionale che della classica biografia. Un modo interessante per capire l’essenza del vero Baresi.

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MAPPA DEI LUOGHI DEL CALCIO SPAGNOLO
Il calcio lascia sempre segni del proprio passaggio. In una piazza, lungo una strada, fra i tavolini di un bar, sui prati dei parchi che ossigenano le città. Il problema è che il tempo li nasconde sotto una patina di polvere. Anno dopo anno. Fino a rimuoverli del tutto, a farli finire in una leggenda orale che in pochi si premurano ancora di raccontare. È lì che inizia la disgregazione di una comunità calcistica, è allora che il patrimonio simbolico condiviso comincia a perdere pezzi. Alessandro Ruta è andato alla ricerca di cento luoghi che hanno indirizzato la storia del calcio spagnolo. Alcuni sono stati teatro di vittorie sfavillanti. Altri sono diventati famosi per un incontro fortuito o per aver dato i natali a un ragazzino destinato a diventare un calciatore dalla classe abbacinante. Luoghi remoti e spesso sconosciuti che meritano comunque una visita, un posto della memoria. Da Langreo, paese di minatori conosciuto per essere stato la casa di David Villa, alla spiaggia del Sardinero, prospiciente allo stadio del Racing, fino alla casa di Calle de Santamaria, a Bilbao, dove è cresciuto Pichichi, stella dell’Athletic che è diventato il sinonimo stesso di “capocannoniere”. Una geografia della memoria che, tramite la riscoperta, crea una nuova forma di conoscenza. Tutto condensato in un libro che nutre continuamente la curiosità di chi lo legge.

Alessandro Ruta, 100 luoghi calcistici da visitare in Spagna, Urbone, 174 pagine, Euro 15.
Piacerà a: chi pianifica un viaggio in Spagna sulle rotte del calcio. Dalla periferia della geografia calcistica, fino al suo centro sfavillante.

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COSMOGONIA DI GEORGE BEST
Pochi calciatori sono stati raccontati tanto quanto Best. Ed è proprio questo il problema. Perché a furia di scriverne, ci si è concentrati sempre sugli stessi aspetti. L’alcool, le donne, le macchine veloci. Ogni libro, ogni articolo, ogni documentario cita sempre le stesse frasi a effetto. Fino a quando Best non è stato trasformato in un personaggio monodimensionale, fino a quando non è stato intrappolarlo nel ruolo di macchietta. Un giocatore che tutti conoscono ma che, alla fine, nessuno ha mai visto veramente giocare. Un po’ come lo Stan Laurel di Soriano, che diceva di essere “Una persona famosa che nessuno conosce davvero”. Stefano Friani parte da una prospettiva diversa. La sfida è quella di ricostruire la figura di George Best nella sua interezza, non nella sua frammentarietà. Per riuscirci usa Belfast come chiave interpretativa. I legami familiari diventano il Big Bang per partire alla scoperta di un personaggio incredibilmente complesso, i cui eccessi diventano parte della narrazione senza però esaurirla. La vita e le opere di Best vengono ricostruite con precisione maniacale. Per una volta il campo è protagonista, con un’abbondanza di particolari che forse rallenta il ritmo della lettura ma che costituisce anche il punto di forza di un libro che fa della complessità la sua forza.

Stefano Friani, Belfast Boy – Una storia inedita di George Best, Milieu, 313 pagine, euro 17.90.
Piacerà a: chi è in cerca di un racconto diverso ed esaustivo su Best.

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L’ELOGIO DI UN LEGAME
La copertina rischia di prendere in contropiede il lettore. Al centro dell’immagine si vede un uomo che se ne sta in piedi di fronte a una curva. Che è un attaccante si capisce dal numero 9 che riempie una maglia di un colore indefinito. Subito sopra la sua testa compare lo striscione: No al calcio moderno. Sembrerebbe un omaggio a un nostalgismo che inizia a sapere di stantio. Invece il volume curato da Cristiano Carriero è una celebrazione del legame perfetto. Quello che tiene insieme un attaccante, una tifoseria e una città intera. Fino a quando l’una non diventa espressione dell’altro. E viceversa. Entità a volte opposte che arrivano a fondersi insieme, a diventare sinonimi. Ecco allora Cagliari che piange per la retrocessione in Serie B, ma soprattutto per l’addio di Roberto Muzzi. Ecco Cosenza che si fa un tutt’uno con Gigi Marulla, Foggia che porta negli occhi gli outfit in stile sovietico di Kolyvanov, Gadda che si trasforma nel San Giorgio a cavallo di Ancona, il Como che qualche anno dopo aver perso la Mitropa Cup per differenza reti vive l’affinità elettiva con Dan Corneliusson e la Puteolana di Campilongo che, mentre il Napoli di Maradona vince lo scudetto nel 1987, tocca il punto più alto della sua storia con un sesto punto in Serie C1. Ogni racconto è un viaggio personale dell’autore fra ricordi, scatoloni (nel vero senza parola), traslochi, suggestioni, cultura territoriale. Un libro dove la prossimità geografica e l’appartenenza diventano valori preziosi, dove la storia di una squadra si trasforma racconto epico, patrimonio condiviso.

AAVV, Storie di bomber e di gente di provincia, Les Flâneurs, 184 pagine, euro 15.
Piacerà a: chi è alla ricerca di un libro dal sapore romantico, capace di raccontare in forma intima anni ormai lontani.

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