Terapie intensive a livello critico, già oltre la soglia in nove regioni italiane, e numeri record per i nuovi casi. Che non risparmiano nemmeno i vaccinati e rilanciano gli interrogativi sull’effettiva durata della protezione dal contagio, tanto che da gennaio la terza dose verrà somministrata già a quattro mesi dalla seconda. Un momento difficile che paga la compresenza di due varianti, Delta e Omicron, secondo l’immunologo Giovanni Di Perri, direttore della Clinica di Malattie infettive dell’Università di Torino. “Ma è una fase di transizione, in cui la nuova variante sta velocemente sostituendo la precedente, e dobbiamo sperare nella conferma dei dati sulla sua minore virulenza per concentrarci su vaccini rimodulati e continuamente aggiornati”.

La transizione dalla variante Delta alla Omicron – “È più che ovvio che l’aumento di casi al quale assistiamo trae molta linfa dalla nuova variante Omicron, che sta sostituendo la Delta con grande velocità”, spiega il professore Giovanni Di Perri. “Purtroppo i dati ci indicano che si tratta della variante meno sensibile alla vaccinazione, ma questo non significa che vaccinarsi e fare la terza dose non serva, anzi”, chiarisce commentando i numeri di questi giorni, che preoccupano per i tanti contagi tra coloro che hanno all’attivo due dosi, ma anche per le segnalazioni di chi ha già fatto la terza e si scopre positivo. “È un momento di grande sofferenza perché negli ospedali facciamo ancora i conti con la Delta, ma con tutta probabilità avremmo visto proprio in questi giorni la cupola della sua curva e possibilmente l’inversione di tendenza”, spiega, ricordando che ormai la popolazione italiana over 12 è per l’85 percento vaccinata con due dosi e per il 30 percento con la terza. “È su questa platea largamente immunizzata che invece arriva ad impattare Omicron, cambiando le carte in tavola e costringendoci a fare i conti con le sue differenti caratteristiche”. Di Perri chiede prudenza e premette che della nuova variante si sa ancora poco e che i dati a disposizione non sono definitivi.

Tempi ed efficacia della terza dose – Se per la variante Delta sappiamo che la dose ‘booster’ ci protegge dal contagio fino a dieci volte di più rispetto a chi ha fatto due dosi da almeno cinque mesi, per la Omicron al momento si parla di una protezione dal contagio che non supera il 70 percento. “Che non è comunque poco”, si affretta ad aggiungere. “Non c’è alcun dubbio che farsi la terza dose ci protegge di più, perché per quanto si parli di una nuova variante, la famosa proteina spike non può cambiare completamente dovendosi legare sempre al medesimo recettore delle nostre cellule, il recettore ACE2”, spiega. E aggiunge: “Proprio perché la proteina rimane riconoscibile, quando arriva il booster noi abbiamo già cellule memoria totalmente dedicate alla proteina spike del Sars-Cov-2, che reagiscono immediatamente perché vedono rientrare lo stesso intruso contro il quale sono state prodotte e programmate, moltiplicandosi e ampliando l’arsenale in tempi relativamente brevi, di pochi giorni, una settimana al massimo”. Quanto alla nuova ondata che stiamo affrontando, “in questo momento nessuno si può prendere la responsabilità di sminuire quel che sta succedendo, anche perché su Omicron non abbiamo ancora certezze”.

Omicron potrebbe traghettarci fuori dalla fase dell’emergenza – Oltre alla maggiore contagiosità, Omicron sembra essere però meno virulenta. I dati che arrivano in particolare dagli studi condotti in Inghilterra e Sudafrica lasciano ben sperare sul fronte della minore capacità di innescare la malattia. “Se i dati dovessero confermare che alla maggiore contagiosità corrisponde davvero una minore capacità di generare la malattia, potremmo finalmente concentrarci su una nuova strategia”, commenta Di Perri, che sostiene la necessità di un vaccino aggiornato per Omicron. “L’impressione è che l’aggiornamento potrebbe riportarci al vantaggio che avevamo sul virus nei primi mesi di vaccinazione, e quindi superiore a quello delle attuali terze dosi”. Si tratta di ipotesi, precisa Di Perri, delle quali dovremo confermare la bontà man mano che la transizione di Omicron si completa e i dati a disposizione aumentano. Ma con minori casi di malattia e una minore pressione sulla sanità è pensabile che si possa finalmente “superare la fase emergenziale dell’epidemia e dirigerci verso un approccio più simile a quello con cui affrontiamo l’influenza, e cioè con vaccini mirati, che entrano nel calendario vaccinale pediatrico e subito a disposizione dei soggetti più fragili”. Sia Pfizer che Moderna hanno già annunciato di essere al lavoro su un aggiornamento del vaccino per la variante Omicron. “Speriamo che per la rimodulazione non sarà necessario tutto quel processo sperimentale che ci fa perdere dei mesi”, si augura Di Perri, che ricorda come anche il tanto atteso vaccino proteico di Novavax, possibile alternativa per chi rifiuta quelli a mRNA, “nasce vecchio perché tarato sulle precedenti varianti”. E conclude: “E’ un momento immaturo, in cui le speranze per il prossimo futuro sono la conferma e la definizione della minore virulenza, e un vaccino riformulato che apra la strada a continui e mirati aggiornamenti. Ma al momento si tratta di supposizioni”

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