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Omicron, lo studio inglese: naso che cola, mal di testa, affaticamento, starnuti e mal di gola i sintomi più comuni. Ma i dati sono parziali

È il risultato della ricerca condotta dal King's College di Londra in collaborazione con l’azienda Zoe e pubblicata sul British Medical Journal: gli stessi autori dell’articolo rilevano che si tratta solo di prime indicazioni e molto parziali, basate sui casi osservati a Londra. Il governo britannico ha aggiunto alla lista anche la febbre, la tosse e perdita di olfatto e gusto, sebbene questi sintomi siano più associati alla variante Alfa
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Naso che cola, mal di testa, affaticamento, starnuti e mal di gola. Sono i sintomi associati più di frequente alla variante Omicron del SARS-CoV-2 (il virus che causa il Covid-19), anche se i dati in proposito sono preliminari e molto pochi. È il risultato della ricerca condotta dal King’s College di Londra in collaborazione con l’azienda Zoe – impegnata in studi epidemiologici sulla pandemia – e pubblicata sul British Medical Journal: gli stessi autori dell’articolo rilevano che si tratta solo di prime indicazioni e molto parziali, basate sui casi osservati a Londra, dove la variante è molto più diffusa che nel resto del Paese. Il governo britannico ha aggiunto alla lista anche la febbre, la tosse e perdita di olfatto e gusto, sebbene questi sintomi siano più associati alla variante Alfa.

Tosse, senso di stanchezza e naso che cola (in quest’ordine) sono invece i sintomi indicati dai Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie statunitensi (Cdc), mentre la perdita di gusto e olfatto sono ritenuti meno diffusi. L’epidemiologa Katherine Poehling, consulente dei Cdc, osserva comunque che i sintomi finora individuati si basano sui dati osservati in alcuni casi positivi e non su studi scientifici. “È prematuro parlare di sintomi perché non ci sono ancora dati affidabili pubblicati”, conferma il virologo Francesco Broccolo, dell’Università di Milano Bicocca. Quello che invece indicano i dati provenienti da Scozia e Nord Europa, spiega, è che “i casi provocati dalla variante Omicron sono associati a un’ospedalizzazione decisamente inferiore, stimata due terzi in meno, ma non è chiaro se questo si debba alla copertura vaccinale o a una minore reale virulenza della Omicron”.

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