A tre anni dagli Accordi di Stoccolma – che avrebbero dovuto rappresentare la prima pietra su cui costruire significativi progressi verso un possibile accordo politico tra le parti in conflitto – in Yemen la popolazione civile è ancora sotto il tiro incrociato di bombardamenti aerei e scontri terrestri sempre più intensi, soprattutto in alcune aree chiave del paese, prese di mira perché geograficamente strategiche o ricche di risorse, come il governatorato di Marib.

Il capoluogo, Marib City, che prima dell’inizio del conflitto contava poco più di 40.000 abitanti, adesso ospita oltre 1 milione di sfollati che continuano ad aumentare settimana dopo settimana. In tutto lo Yemen al momento si contano oltre 4 milioni di persone in fuga dalla guerra – nei campi profughi perennemente sotto attacco o in alloggi di fortuna senza acqua pulita, cibo, medicine – a cui se ne sono aggiunte altre centomila solo negli ultimi 3 mesi.

A metà novembre, gli scontri lungo la costa del Mar Rosso hanno costretto oltre 25.000 persone ad abbandonare le proprie case, mentre lo spostamento continuo delle linee del fronte, con vaste aree cosparse di mine anti-uomo, non fa che aumentare il numero di civili uccisi: 120 negli ultimi 2 mesi, 18.500 dall’inizio del conflitto, con un numero ormai imprecisato di vittime totali, stimato nell’ordine di centinaia di migliaia.

Le cause e le conseguenze di un fallimento pagato da milioni di innocenti

L’accordo, firmato il 13 dicembre di tre anni fa – tra la minoranza Houthi e il governo riconosciuto a livello internazionale – aveva l’obiettivo proprio di evitare una catastrofica escalation militare, ma l’attuazione limitata delle sue componenti chiave è tra le cause alla base dell’emergenza umanitaria in corso, la più grave al mondo nella storia recente.

Due in particolare gli elementi disattesi che hanno gravi conseguenze umanitarie:

– il mancato cessate il fuoco e un nuovo dispiegamento delle truppe (da parte di tutte le parti in conflitto) a Hodeida (il principale porto del paese da cui entrano oltre l’80% degli aiuti e dei beni essenziali);

– la mancata risoluzione della situazione a Taiz, città che è sotto assedio dall’inizio del conflitto, la cui popolazione sta pagando uno dei prezzi più alti in termini umanitari.

A Hodeidah la distruzione di infrastrutture pubbliche e civili come scuole (in questo governatorato ci sono bambini che non vanno più a scuola da tre anni), ospedali e strade ha causato la perdita di mezzi di sussistenza e un vero disastro economico.

A Taiz, i bombardamenti indiscriminati continuano a ferire e uccidere civili, lasciando la popolazione senza accesso ai servizi essenziali. A causa degli attacchi e dello spostamento delle linee del fronte, le principali vie di trasporto sono infatti inservibili o distrutte. Una situazione che sta complicando enormemente il lavoro delle organizzazioni umanitarie sul campo, che fanno sempre più fatica a raggiungere le comunità più colpite.

L’appello per una tregua immediata, di fronte a una comunità internazionale latitante

La nuova ondata di violenza in corso nel Paese, oltre che aggravare una situazione umanitaria già disastrosa, potrebbe mettere a repentaglio le possibilità di un processo di pace di successo nei prossimi mesi.

Da qui l’appello urgente lanciato in questi giorni da alcune delle principali organizzazioni, che come Oxfam sono al lavoro per soccorrere la popolazione, perché tutte le parti in conflitto rispettino i loro obblighi ai sensi del diritto internazionale umanitario, compresi quelli relativi all’accesso umanitario e alla protezione dei civili, degli operatori umanitari e sanitari. Cessando immediatamente di colpire le poche infrastrutture essenziali, come quelle idriche e sanitarie, ancora in funzione.

Un processo che dovrebbe essere guidato da una comunità internazionale al momento “latitante” e che per anni ha alimentato de facto il conflitto vendendo – Italia compresa – armamenti ai paesi della coalizione a guida saudita coinvolta nel conflitto per cifre record. Comunità internazionale che ad oggi ha finanziato solo per il 58% il piano umanitario definito dalle Nazioni Unite per far fronte all’emergenza nel 2021, ovvero 2,2 miliardi euro a fronte dei 3,8 necessari per rispondere ai bisogni di 16 milioni di persone. Con l’Italia totalmente assente nella lista dei donatori dopo essersi impegnata con soli 5 milioni di euro nel 2019 e nel 2020.

Una vergogna che si sta consumando, ancora una volta, nella quasi totale indifferenza dell’opinione pubblica mondiale.

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