La battuta sarcastica più ricorrente e ormai anche un po’ logora che gira sui social è quella che rimanda a Fantozzi, Filini e Calboni che rivolti all’onorevole cavaliere conte Diego Catellani esultano: “E’ un bel direttore”, “è un santo”, “un apostolo”. Si aggiunge, forse, la celebre parodia di Nerone fatta da Ettore Petrolini: in un monologo dalle movenze un po’ mussolineggianti, Nerone promette che Roma diventerà “più bella e più superba che pria” (“Il popolo quando sente le parole difficili si affeziona”). E visto che gli hanno detto “bravo” (e lui risponde subito “grazie), ripete all’infinito la frase finché la folla è così festante da non permettergli di pronunciare nemmeno una sillaba. Petrolini prendeva in giro il potere che si bea del trionfo ottenuto dal popolo, ma anche un po’ il contrario, il popolo che si spella le mani per il potente di turno, a prescindere. E a volte senza che quest’ultimo ne abbia alcuna responsabilità.

Per esempio trasmette un effetto distorto, un po’ “coreano” (del nord), che gli applausi prima, durante e dopo al presidente del Consiglio Mario Draghi siano arrivati non in Parlamento, non a un convegno, non in qualsiasi altro posto, ma proprio durante una conferenza stampa, animata da decine da giornalisti di altrettante testate che per definizione sono chiamati a porre domande per incarnare il vecchio motto del cane da guardia, del quarto potere, del custode della democrazia e, vista la calante fiducia dei lettori, magari dovrebbero sentire anche la responsabilità di apparire indipendenti, oltre che esserlo.

Non è una giustificazione, ma un’aggravante che alla fine di tutte le conferenze stampa di fine anno dal 2014 in poi c’è sempre stato un applauso. Nelle due con Renzi, nelle due con Gentiloni e nelle due con Conte del 2018 e del 2019. L’unica eccezione è quella dell’incontro con la stampa di Conte del 2020 (quando nessuno applaudì), ma era anche l’anno con le presenze contingentate e in generale c’era poco da applaudire con la seconda ondata in corso.

Con Draghi è andata diversamente: è stato applaudito preventivamente al momento dell’ingresso nella sala in cui è stata organizzata la conferenza stampa, è stato di nuovo celebrato quando ha finito la sua breve introduzione mettendosi a disposizione delle domande, si è conquistato di nuovo la platea quando il giornalista di Bloomberg ha chiesto se poteva fare una domanda in inglese e ha risposto “ma certo, poi tradurrò per lei”, fino all’applauso finale a cui ha partecipato, a favore di microfono, anche lo stesso presidente dell’Ordine Carlo Bartoli, a differenza di quanto non fa invece il presidente dell’Associazione stampa parlamentare, il cronista politico di SkyTg24 Marco Di Fonzo.

“Essendo coinvolto e nel mezzo dell’evento, mi sono reso conto degli applausi ma non ci ho fatto molto caso perché ero travolto da mille cose – spiega Bartoli all’AdnKronos – Ho avuto però l’idea che l’applauso dei colleghi sia stato un applauso agli auguri, corale. Mi pare – ma potrei sbagliarmi – che fosse semplicemente la conclusione nel farsi gli auguri: questa la mia impressione”. “In generale non si applaude al premier – precisa – si partecipa ad un evento. Ma questo lo immagino come un applauso legato agli auguri”. Lo stesso pensa Raffaele Lorusso, segretario della Fnsi, il sindacato dei giornalisti: “Questo è un rituale, io credo che in passato gli applausi li abbiano presi anche altri presidenti del Consiglio all’ingresso in sala – dice – Credo sia stato un applauso di cortesia e di saluto, ed è avvenuto anche negli anni precedenti, e con altri presidenti del Consiglio. Non ci ho visto nulla di eclatante”. Lorusso sottolina che “non si è applaudito alle risposte alle domande, la conferenza stampa si è svolta normalmente”. “E’ stata una forma di saluto e una cortesia – conclude – La conferenza si è svolta normalmente e sono state fatte le domande che si dovevano fare”.

Ha avuto qualche dubbio in più Alvise Armellini, che scrive per France Press e Dpa (tra le principali agenzie di stampa d’Europa e del mondo) e per il Telegraph e il Financial Times: “Starting now, with a timid (and incongruous?) round of applause”, twitta, “Si comincia, con un timido (e incongruo?) applauso”. Sempre su Twitter anche il giornalista di Domani Daniele Erler si pone la domanda: “Entra Draghi in conferenza stampa e i giornalisti applaudono. Credo succeda solo in Italia”.

Naturalmente la questione ha fatto arrabbiare Fratelli d’Italia, gruppo più nutrito dell’opposizione: “Più che una conferenza di fine anno quella di Draghi è sembrata una conferenza di fine mandato e questo spiegherebbe anche gli applausi e la ‘commozione’ dei giornalisti” dice la presidente Giorgia Meloni. Ma anche qualche il deputato di Forza Italia Elio Vito fa notare: “Ad una #CONFERENZASTAMPA si fanno le domande, ad un discorso si applaude”. Si aggiunge Marco Campomenosi, eurodeputato della Lega: “Il mio partito sostiene il Governo #Draghi ma devo dire che, da italiano, gli applausi dei giornalisti alla conferenza stampa e il livello ‘sdraiato’ e penoso delle loro domande non aiuta il Paese, mi imbarazza e non lo accetterei nemmeno se il premier fosse esponente della Lega”

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