Quattro miliardi di dollari per disputare i Mondiali ogni due anni. Questo è il prezzo per distruggere una tradizione secolare, trasformare definitivamente il calcio in un grande show televisivo che va in onda più spesso possibile, cancellando le origini e spazzando via tutte le altre competizioni, che verrebbero inevitabilmente fagocitate dal nuovo torneo biennale.

Fino a ieri era solo un’idea, oggi non è ancora realtà perché le resistenze sono fortissime. Ma da adesso si fa sul serio: è ufficialmente aperto il dibattito sulla riforma del calendario internazionale, che prevede tra le altre cose ma prima di tutte le altre, la cadenza biennale dei Mondiali. È successo a Doha, nel Global Summit convocato dalla Fifa di Gianni Infantino, il grande promotore di questo progetto. Nella riunione con i delegati delle confederazioni continentali, la massima organizzazione calcistica ha presentato il suo programma, e soprattutto i suoi numeri, che promettono ricchezze sconfinate per tutti.

Il piano è piuttosto semplice: un Mondiale ogni due anni invece che quattro, una grande manifestazione internazionale ogni estate perché negli anni dispari prenderebbero posto le competizioni continentali (Europei, Copa America, Coppa d’Africa, ecc.), pure quelle raddoppiate di frequenza. Come si arriverà a ciò in realtà non è ancora chiarissimo, perché la riforma dovrebbe prevedere anche una riduzione delle finestre per le nazionali (l’unico punto sensato del programma) e dunque un inevitabile accorpamento dei tornei di qualificazione. Il Sudamerica, ad esempio, pretende di continuare a disputare le nove partite andata e ritorno del suo raggruppamento e Infantino dice che non ci sono problemi, ma non si capisce come ciò sia compatibile col suo disegno. Ma evidentemente non è questo che conta. Ciò che conta per la Fifa sono solo i soldi.

Sul tavolo infatti la Fifa ha portato due studi di fattibilità “indipendenti” realizzati da Nielsen e OpenEconomics che mostrano ricavi da record: un fatturato aggiuntivo di 4,4 miliardi di dollari dal primo ciclo di 4 anni, un aumento del prodotto interno lordo complessivo di oltre 180 miliardi di dollari in 16 anni, almeno due milioni di posti di lavoro in più nel mondo. Se poi anche le confederazioni trasferissero le fasi finali maschili a un ciclo biennale, l’aumento sarebbe addirittura di 6,6 miliardi di dollari a quadriennio. Ovviamente anche la Uefa, grande nemica del progetto, ha il suo dossier (firmato da Oliver & Ohlbaum) che racconta esattamente il contrario, ovvero che l’aumento dei ricavi di un torneo non è necessariamente collegato all’aumento della sua frequenza, e che comunque l’Europa ci perderebbe. A dimostrazione di quanto siano davvero attendibili questo genere di studi.

Il punto, come sempre, è la politica. Nel calcio si è aperta una vera e propria guerra fra bande in vista della riforma dei calendari del 2024, di cui l’annuncio della Superlega è stato solo l’antipasto. Se in Europa lo scontro fra club e Uefa è appena sopito, ancor più duro si annuncia a livello mondiale quello fra Fifa e Uefa. La narrazione di Infantino è che la sua riforma farà il bene del sistema, accorcerà il gap tra ricchi e poveri, darà più risorse e possibilità di emergere a tutte le aree del mondo del pallone. In realtà nasce da una mera esigenza economica, quella di aumentare il fatturato: la Uefa (con Champions, Europei e la neonata Nations League) ci è riuscita, la Fifa no, perché non ha trovato un altro torneo redditizio oltre ai Mondiali. E allora, dopo averli allargati a 48 squadre, punta a raddoppiarli. Anche se questo rischia di distruggere la “magia” della coppa del mondo e trasformare il calcio da sport in spettacolo.

Per riuscirci, Infantino avrà bisogno dell’ok dell’assemblea delle 210 associazioni mondiali. Europa e Sudamerica, sempre più alleate come dimostra l’ipotesi di una Nations League congiunta, sono contrarie, minacciano addirittura di disertare e senza di loro non esiste Mondiale. Solo questo ha rallentato i piani di Infantino, che non esclude un voto al prossimo congresso Fifa a marzo 2022 ma nemmeno lo prevede, dice solo che “si prenderà il tempo che ci vuole”. I voti di Africa, Nordamerica e Asia sarebbero anche sufficienti ad approvare la riforma a colpi di maggioranza, ma non bastano. Bisognerà rompere l’asse Europa-Sudamerica e allargare il consenso ad altre Federazioni. Per convincerle (cioè comprarsi i voti) la Fifa ha già annunciato che se la sua riforma andrà in porto ci sarà un assegno di almeno 9 milioni di dollari in più per ogni Federazione. Ogni cosa ha il suo prezzo.

Twitter: @lVendemiale

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