Superlega o Champions League, club o nazionali, Uefa o Fifa, fondi d’investimento per leghe private o gli organismi sovranazionali. È la guerra mondiale del calcio, pronta ad esplodere, in realtà già scoppiata qualche mese fa quando Real, Juventus e le altre squadre ribelli avevano provato a portarsi via il pallone e crearsi un loro campionato per ricchi, salvo rimediare una sonora figuraccia e tornare (quasi) tutti a casa con la coda fra le gambe. Ma quel tentativo di golpe, apparentemente finito, non è ancora sventato, mentre il prossimo è già all’orizzonte: un Mondiale ogni due anni invece che quattro, che fagociterebbe di fatto tutte le altre competizioni, almeno nazionali.

L’idea, ovviamente, viene dalla Fifa che il mondiale lo organizza. Anzi, siccome il suo n.1, Gianni Infantino, è cinico e furbo come tutti i padroni del calcio, la proposta non l’ha lanciata lui, ma se l’è fatta avanzare da un alleato fidato (cioè l’Arabia Saudita, non a caso nemica giurata del Qatar vicinissimo alla Uefa) per poter dire che lui sta soltanto portando avanti un’istanza della base. E pensare che proprio Infantino ha già allargato il format della Coppa del mondo da 32 ad addirittura 48 squadre (a partire dal 2026), per moltiplicare il numero di partecipanti, partite, e quindi soldi. Ma evidentemente ancora non gli basta. Ha assoldato un guru del pallone come Arsene Wenger e una serie di vecchie glorie per promuovere il progetto in giro per il mondo: una Coppa del Mondo ogni due anni, con un grande torneo internazionale ogni estate, e magari un nuovo Mondiale per club allargato, la Fifa al vertice del nuovo grande calcio. Inutile dire che la Uefa di Ceferin (che vedrebbe spazzato via l’Europeo, sua principale fonte di guadagno), e anche le Leghe dei campionati europei (che temono di vedere ancora più spremuti i loro calciatori e perdere centralità) si sono immediatamente schierati contro.

La considerazione più banale, e anche più romantica, che un Mondiale giocato ogni due invece che quattro anni non sarebbe più così speciale, in questo discorso vale davvero poco. Un po’ come per la Superlega, Real-Juventus disputata due volte al mese non sarebbe più un big match, ma questo non sembra interessare Florentino Perez e Agnelli. Qui contano soltanto i soldi. Il biennio che intercorre fra il 2022 (Mondiali in Qatar, in inverno, ultimi con la vecchia formula) e il 2024 (scadenza dei diritti tv della vecchia Champions League) è uno spartiacque per il pianeta calcio. C’è la possibilità, forse anche la necessità perché è evidente che qualcosa non funzioni (le partite sono ormai troppe e si continua ad aumentarle per far salire i ricavi), di rivedere i calendari internazionali: è uno spiraglio, un’occasione in cui tutti provano ad infilarsi per fare i propri interessi. A maggior ragione dopo l’apocalisse del Covid, che con la crisi ha devastato i bilanci, accresciuto la disperazione, solleticato gli appetiti.

Ci hanno provato i club secessionisti con la Superlega, e i fondatori (Real, Juve, Barcellona) non hanno ancora rinunciato: per ora tengono in piedi il progetto grazie alle sentenze di qualche tribunale favorevole, in attesa del pronunciamento della Corte di giustizia europea, quello sì decisivo perché potrebbe mettere una pietra tombale sulla follia separatista dei club, o sancire l’abuso di posizione dominante della Uefa e quindi aprire le porte alla libera impresa nell’organizzazione dei tornei (con prospettive però incontrollabili). Il tentativo del Mondiale biennale procede in parallelo, e del resto Infantino ha condannato solo a parole la Superlega. La prossima battaglia sarà sull’ingresso dei fondi d’investimento nel pallone, praticamente inevitabile vista la crisi di liquidità: la Liga spagnola ha già sottoscritto un accordo, che però è stato impugnato dalla sua FederCalcio. Forse perché anche la Uefa (che controlla le Federazioni) punta a fare altrettanto e distribuire lei soldi. Alla fine Uefa e Fifa, club e nazionali, dovranno sedersi a un tavolo per trovare un accordo sul nuovo calcio mondiale.

Twitter: @lVendemiale

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