La Commissione Ue si accinge a rivedere la direttiva sul rendimento energetico nell’edilizia, con una proposta che fa discutere. Dal 2027 gli edifici pubblici che appartengono alla classe energetica più bassa (la ‘G’), dovranno passare a quella immediatamente superiore (la ‘F’), per arrivare alla ‘E’ entro il 2030. Gli edifici residenziali, invece, dovranno rientrare almeno nella classe ‘F’ dal 1° gennaio 2030 e alla classe ‘E’ dal 2033. Ma c’è un’altra novità che, in Italia, si intreccia inevitabilmente con il nodo del Superbonus al 110%: la Commissione Ue – se le anticipazioni saranno confermate – propone che dal 31 dicembre 2025 la certificazione di idoneità dell’immobile segua un modello prestabilito europeo. Così, se oggi in Italia l’Attestato di Prestazione Energetica (Ape), che classifica le prestazioni su una scala di 10 classi, dalla A4 (che consuma meno energia) alla G (la meno performante), è obbligatorio per vendere, affittare o sottoporre a ristrutturazioni agevolate un edificio, la Commissione ne prevede l’obbligo per edifici e case da costruiti, venduti, ristrutturati o anche in caso di semplice rinnovo del contratto d’affitto. Ergo: gli edifici con classe ‘G’ saranno fuori dal mercato, anche se con delle esenzioni. In Italia, la percentuale di immobili appartenenti alla classe energetica G è ancora la maggiore: circa un terzo degli edifici residenziali, contro il 4%, ad esempio, delle case nei Paesi Bassi.

Il ruolo del Superbonus – A dispetto delle reazioni più critiche verso la novità per il possibile impatto nel mercato immobiliare europeo, in Italia il Superbonus può rappresentare uno strumento efficace per ridurre la quota di edifici con prestazioni meno efficienti. “Aiuterà ad abbassare la quota degli edifici con classe energetica più bassa, ma solo a patto che la misura non venga ridimensionata e che si apportino alcune modifiche” spiega a ilfattoquotidiano.it Katiuscia Eroe, responsabile dell’Ufficio Energia di Legambiente, che da tempo spinge per ‘aggiustare il tiro’ del Superbonus. Il presidente Stefano Ciafani l’ha definita “l’unica misura concreta messa in campo, fino ad oggi, per raggiungere gli obiettivi di riduzione dei gas climalteranti al 2030, che permette anche di contrastare il problema crescente della povertà energetica”. Ma, intanto, per la conferma definitiva della proroga si aspetta l’ufficialità della manovra.

La proposta della Commissione – “La proposta della Commissione, ovviamente con obiettivi su largo respiro, è assolutamente valida e può funzionare – spiega la responsabile dell’Ufficio Energia di Legambiente – basta pensare a cosa è accaduto nel settore degli elettrodomestici con l’etichetta energetica che ha fatto spostare il mercato verso prodotti più performanti ma, per esempio in Italia, vanno messi a punto gli strumenti giusti”. Nella bozza di settanta pagine che dovrebbe essere presentata la prossima settimana, sono previsti dei ‘paletti’. Oltre all’introduzione graduale di standard minimi obbligatori di prestazione energetica, sono esclusi dalla misura gli edifici storici, dedicati al culto, ufficialmente protetti o temporanei, oppure inferiori ai 50 metri quadrati. Per gli edifici più ‘datati’, la portata del rinnovo obbligatorio della classe energetica dovrà essere proporzionata e fattibile rispetto a quella da cui si parte. I costi dell’intervento dovrebbero entrare nel contratto di vendita. La nuova direttiva punterà a rimuovere gli ostacoli più comuni alla riqualificazione e indicherà nuovi strumenti per facilitare le ristrutturazioni da parte dei proprietari. Sul tavolo diverse opzioni, dalla leva del credito alla possibilità di incentivare gli interventi delle società elettriche ed energetiche, che possono assumersi il rischio del finanziamento iniziale e di ripagare gli investimenti con i risparmi sull’energia. Secondo il presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, l’ipotesi di legare la vendita degli immobili a determinati standard energetici “lederebbe i diritti dei proprietari”, mentre Massimiliano Dona, presidente dell’Unione nazionale consumatori ha annunciato “barricate contro qualunque norma che impedisca la libera vendita di una casa solo perché ha una bassa classe energetica”. L’obiettivo, però, è proprio quello di ridurre drasticamente gli edifici con le prestazioni energetiche peggiori per avvicinarsi al target del taglio delle emissioni nette di gas serra del 55% entro il 2030, rispetto ai livelli del 1990. E gli edifici sono responsabili del 40% del consumo energetico totale e del 36% delle emissioni di gas serra legate all’energia nell’Unione europea.

La situazione attuale secondo Enea – Che in Italia ci sia tanta strada da fare lo confermano i dati di Enea e del Sistema informativo sugli attestati di prestazione energetica (Siape) disponibile on-line, anche se non riguardano tutti gli edifici, ma solo quelli per cui è stato presentata una certificazione. Su circa 1,9 milioni di Ape presenti nel sistema, l’85,4% relativi a un edificio residenziale, il 34,5% appartengono alla classe G, il 23,2% alla F, il 16,4% alla E, l’11,3% alla classe D, il 5,2% alla C, il 2,8% alla B e un restante 6,6% alle quattro classi A. Quindi le prime classi (dalla A4 alla C) rappresentano solo il 14,6% degli attestati analizzati. D’altro canto, la maggior parte degli edifici presi in considerazione (quasi 761mila) è stato costruito tra il 1945 e il 1972, mentre altri 395mila risalgono a prima del 1945. Nel sistema risultano Ape per appena 220mila edifici costruiti dopo il 2006.

Lo strumento del Superbonus – Come si fa a raggiungere classi energetiche più alte? Quale ruolo potrà avere il Superbonus? “Potrà aiutare a raggiungere gli obiettivi che si pone la Commissione, ma occorre rimuovere diversi ostacoli” spiega Katiuscia Eroe, secondo cui “bisogna mettere tutti i cittadini nelle condizione di accedere a questo tipo di strumenti, indipendentemente dall’Isee e dal luogo in cui vivono”. Al momento rispetto alle modifiche, invece, ci sono delle limitazioni. “A iniziare dal fatto che negli anni le percentuali si vanno a ridurre – aggiunge – e non è detto che una famiglia con Isee superiore a 25mila euro, considerata la crisi economica in atto, sia in grado di poter affrontare un investimento di questo genere. Esattamente il limite che aveva anche l’ecobonus, che non ha mai trainato un numero di cantieri così alto come quello presentato da Enea pochi giorni fa”. Come emerge dall’ultimo rapporto, infatti, se negli ultimi 15 anni in Italia sono stati investiti oltre 53 miliardi di euro in efficienza energetica, circa 45 sono relativi al 2020 con l’ecobonus 65% e 8,28 solo per interventi già realizzati con il Superbonus 110%. Riguardo a quest’ultimo, al 30 novembre 2021 erano in corso 69.390 interventi edilizi incentivati, per circa 11,9 miliardi di investimenti che porteranno a detrazioni per oltre 13,1 miliardi. Sono 10.339 i lavori condominiali avviati (62,9% già ultimati), che rappresentano il 49,7% del totale degli investimenti, mentre i lavori negli edifici unifamiliari e nelle unità immobiliari funzionalmente indipendenti sono rispettivamente 35.542 (75,9% già realizzati; il 31,5% del totale investimenti) e 23.508 (75,5% realizzati; il 18,8% degli investimenti).

La legge di Bilancio e i nodi che restano da sciogliere – Ma proprio per le villette, in un primo momento il governo aveva deciso di limitare i lavori al 30 giugno e poi subordinare il bonus ai limiti di reddito. Nelle scorse settimane, Ciafani aveva espresso i suoi timori rispetto all’annuncio della fine della misura al 2023, soprattutto per gli interventi più piccoli “che interessano solo le famiglie e le imprese artigiane”. Gli emendamenti alla legge di Bilancio sembrano convergere per una proroga possibilmente integrale della misura, mentre è trasversale la richiesta di eliminare il vincolo del tetto Isee a 25mila euro per le villette unifamiliari o, in una mediazione con il Mef, alzarlo a 40mila euro. “Mi auguro che il superbonus sia uno strumento strutturale almeno fino al 2030 – aggiunge Katiuscia Eroe – e che sia di semplice accesso a tutti, superando una serie di ostacoli sia sotto il profilo burocratico sia rispetto al ‘paletto’ del tetto Isee”. Che rischia di creare un gap tra chi vive in condominio e può accedere all’agevolazione nonostante un reddito magari molto elevato, e chi vive in un’abitazione unifamiliare e invece non può più fare i lavori, anche se il reddito Isee è di poco superiore al tetto introdotto da Mario Draghi. Come conferma la responsabile dell’Ufficio Energia di Legambiente, poi, dalla misura restano comunque escluse le case che non hanno un impianto termico fisso, quindi le famiglie più povere, “ma anche una parte importante del patrimonio edilizio del Sud d’Italia” dove molte abitazioni sono riscaldate “con impianti meno efficienti e pericolosi, come stufe a gas ed elettriche”, proprio quelli che sarebbe più opportuno rimuovere, garantendo l’addio alla classe G. Legando la misura al finanziamento di singoli interventi e “premiando tutti allo stesso modo, senza tener conto della qualità rispetto all’efficientamento”, secondo Legambiente il rischio è quello di “non sostenere i progetti complessi di rigenerazione urbana” e rendere più ‘appetibili’ “i progetti minimali, tesi esclusivamente a raggiungere il risultato minimo per l’accesso all’incentivo. Tutto questo – conclude Katiuscia Eroe – senza escludere il sostegno alle fonti fossili, come nel caso delle caldaie a gas”.

Articolo Precedente

Da metà novembre al via l’anagrafe online: 14 certificati digitali scaricabili dal web in modo autonomo e gratuito. Ecco come funziona

next
Articolo Successivo

Aspettando la riforma del catasto arriva la scadenza per la seconda rata Imu. Ecco chi è esente e chi invece deve pagare (e quanto)

next