“Le esperienze di altri Paesi insegnano che le riforme della tassazione dovrebbero essere affidate a esperti, che conoscono bene cosa può accadere se si cambia un’imposta”. Così parlò Mario Draghi lo scorso febbraio, durante il suo discorso programmatico al Senato. Poi però il governo ha fatto diversamente. Il disegno di legge delega di riforma fiscale approvato dal consiglio dei ministri in ottobre – e di cui la revisione dell’Irpef sarà il primo tassello – è stato in gran parte ispirato dalla relazione delle commissioni Finanze di Camera e Senato. Un testo politico e non tecnico in cui per non scontentare nessuno non è stata mai inserita la parola “patrimoniale” e pure sul catasto si è deciso di non decidere. Di qui quelle che l’Ufficio parlamentare di bilancio, nella sua memoria depositata in commissione a Montecitorio, definisce “lacune” che rischiano “di richiedere nell’immediato un ampio sforzo parlamentare per integrare alcuni di questi elementi e, dall’altro, di allungare i tempi di attuazione della delega stessa visto che di volta in volta andranno trovati accordi sulle modalità di realizzazione dei diversi punti del ddl delega”.

“Non si affrontano questioni rilevanti come le principali cause dell’erosione dell’imposta e delle basi imponibili”, scrive il presidente dell’Upb, “e come giungere a una razionalizzazione e riduzione delle tax expenditures. Manca la previsione di adeguati principi direttivi per la revisione delle imposte patrimoniali“. In generale, “i principi e criteri individuati dal DDL delega sono condivisibili ma talvolta troppo indeterminati. Inoltre, anche alla luce delle precedenti deleghe sulla riforma del sistema tributario, mancano alcuni elementi di indirizzo fondamentali per un ridisegno complessivo e organico. Si tratta di lacune che riflettono, da un lato, l’eterogeneità dell’indirizzo politico e, dall’altro, il fatto che la formulazione del DDL delega non sia stata preceduta dai lavori di una Commissione di esperti volti a un ridisegno complessivo e omogeneo dell’intero sistema tributario”.

L’unico articolo “un po’ più dettagliato è quello che riguarda la mappatura degli immobili e la revisione del catasto fabbricati, che tuttavia non altera la tassazione sugli immobili”, annota l’organismo deputato a verificare le stime di finanza pubblica e il rispetto delle regole di bilancio nazionali ed europee, assicurandone l’affidabilità. Il governo ha infatti disposto una “revisione”, ma il premier Mario Draghi ha promesso che a valle di questo aggiornamento nulla cambierà: “Nessuno pagherà di più”. Un approccio, commenta l’Upb, che “sembra prendere atto della difficoltà di intervenire su un tema molto delicato, visto anche l’insuccesso di tutti i numerosi precedenti tentativi di riforma, tentando di separare l’aspetto tecnico della complessa individuazione di un nuovo algoritmo di stima, da quello politico della sua applicazione”. Nuove stime alla mano, si potrebbe “verificare la reale portata redistributiva della riforma a parità di gettito, evidenziando non solo i perdenti ma anche i soggetti avvantaggiati dal nuovo sistema. L’asimmetria della distribuzione degli scostamenti tra valore patrimoniale e catastale, che evidenziano una concentrazione delle maggiori sperequazioni su segmenti circoscritti di immobili, sembrerebbe suggerire che a parità di gettito si avrebbero più avvantaggiati che svantaggiati”.

Per quanto riguarda gli effetti finanziari derivanti dall’attuazione della delega, sebbene nell’articolo 10 venga indicato che dalla riforma fiscale non debbano emergere nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, “non viene esplicitamente escluso che la riforma possa essere finanziata con il ricorso all’indebitamento netto, con conseguenze negative sull’equilibrio dei conti pubblici”, osserva l’Upb. “Dato lo stato attuale di questi ultimi, il finanziamento della riforma deve avvenire prioritariamente attraverso una ricomposizione del prelievo”.

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