di Paolo Bagnoli

Il blablabla denunciato da Greta riguardo al clima atmosferico si adatta bene anche al clima politico italiano devastato da chiacchiere che si rincorrono le une con le altre, quasi sempre senza nessuna vera connessione politica, formulate come sono da una classe “non politica”. Naturalmente, si tratta di un giudizio di ordine generale perché in essa troviamo anche persone serie e stimate che figurerebbero bene in un contesto di classe politica propriamente detto. Così fa piacere quando si leggono dei ragionamenti politici, tanto più piacere quanto più la cosa è rara.

È il caso dell’intervista di Massimo D’Alema al Corriere della Sera del 6 novembre u.s., nella quale l’ex-presidente del Consiglio ripercorre con precisione tutte le tappe del fallimento di ciò che è seguito alla fine della Prima repubblica. Per dirle in poche parole, D’Alema ha posto il problema della ricostruzione della politica e che alla rinascita della sinistra serva un’ideologia; ossia un compiuto ragionamento su come essa si rappresenti le cose per dare e avere ragione del proprio essere. Non dimentichiamo, infatti, che il termine ideologia è un composto di due termini greci: idea che significa rappresentazione e logos che significa ragionamento. Riferirsi a un’ideologia significa, semplicemente, fare un ragionamento compiuto sulla rappresentazione della realtà, su come la si interpreta e, naturalmente, su come la si vuole cambiare. E poiché politica viene anch’essa dal greco polis, che significa Stato, ne deriva che la politica è quel campo attinente a tutto ciò che riguarda lo Stato nonché la società.

Per animare una politica di sinistra occorre, quindi, avere un’ideologia connotante rispetto a tali due ambiti pensati e riflettuti secondo i valori della sinistra; di una sinistra che affondi le sue radici nei valori liberali e democratici dell’Occidente; vale a dire, del socialismo nella libertà, che è cosa diversa dal socialismo delle libertà, che è un socialismo che non si pone quello che è il fine intimo della sua ragione di essere: il superamento delle forme di sfruttamento proprie del capitalismo.

Il fatto che l’intervista di D’Alema sia passata praticamente sotto silenzio è un segnale di come non ci sia sostanziale voglia di affrontare la questione. Non per questo essa è centrale anche per la vitalità del sistema democratico sempre più improprio e sfarinantesi tra una sinistra che non c’è, una destra illiberale e talora impresentabile e un centro che, oggettivamente, non si capisce cosa sia e dove si trovi.

Preciso e prudente come sempre, tuttavia, D’Alema ha anche peccato di reticenza neppure accennando alle responsabilità che gli competono: visti i ruoli assolti, egli poteva fare in modo di contrastare il processo di dissoluzione della sinistra che, finito il partito comunista e sepolto in terra tunisina quello socialista, significava riconoscere che la sinistra, per essere, non poteva che essere socialista e, quindi, opporsi alla nascita del Partito democratico. Partito che non solo di sinistra non è, ma non vuole nemmeno esserlo, riparandosi dietro la formula del centro-sinistra, la quale, al pari dell’usurato ricorso al riformismo, non si sa bene cosa sia, quale blocco sociale voglia rappresentare, di quale storia sia espressione e quale sia la propria identità culturale.

Contrastare la destra è importante, ma se il fine rimane esclusivamente il solo governo, il contenitore rimane vuoto e in quanto tale, anche se lo conquista la funzione riformatrice che per essere vera deve avere fini strutturali, non può certo risultare tale.

Se il mito del ’21 non viene sepolto è chiaro che il discorso di D’Alema ha i piedi saldamente piantati in cielo; ma tale decisiva questione non è nemmeno sfiorata.

Dicevamo del silenzio che ha accolto l’intervista. Esso è stato rotto da Paolo Cirino Pomicino che, in una lettera al giornale (7 novembre u.s.) ha chiesto a D’Alema “di superare finalmente la scissione di Livorno per ridare anche all’Italia dopo trent’anni un partito socialista chiamando tutti senza alcuna esclusione”. Un partito socialista, secondo Pomicino che, come avviene in Spagna, Portogallo e Germania, sia “in alternativa ai partiti popolari o cristiano democratici”.

La chiusura della lettera è talmente chiara come lo sono tutte le verità: “Rimettiamo ordine nel Paese – scrive – perché senza una cultura i partiti sono solo comitati elettorali e la sinistra senza un aggettivo qualificativo resta solo un segnale stradale”. Meglio di così era difficile dire.

Ci domandiamo se anche questo non sia un segno dei tempi: che la causa del socialismo venga perorata da un democristiano.

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