Chissà che i superpoteri di Draghi non arrivino fin qui alla frontiera di Chiavenna, paesotto adagiato sotto il Passo del Maloja, noto per i pizzoccheri e per fare da cerniera con la chicchissima Engadina di cui Sankt Moritz è la sua gemma più preziosa. Zelanti doganieri a queste altezze sono diventati cani da segugio per multare finte/ignare signore bien che passano la dogana come se andassero a una sfilata di moda: pellicce maculate e con colli avvolti in impalpabili shatoosh, sciarpe indiane ricamate, realizzate con la barbetta di graziose caprette che finiscono squarciate vive. Simili ornamenti vengono confiscati, per la gioia degli ambientalisti, e supermultati (dai 2000 euro in su) per la gioia delle casse doganali.

Per non sbagliare la valutazione del pelo i doganieri si sono provvisti anche di una speciale macchina/radar che distingue l’ originale dai farlocco. Promessa doverosa per premiare tanta laboriosità. Io, invece, devo solo rimpatriare qualche vetusto mobile di famiglia: una spalliera di letto in legno, un divano a due sedute, una poltrona, due angoliere, un tavolo di marmo, la copia sputata di un’antica acquasantiera. E il solerte doganiere di nome Luca (il cognome non lo scrivo per rispetto alla sua privacy) mi chiede di mandargli foto degli oggetti.

Gli spiego che i mobili sono pure stati alluvionati dentro la stalla dove un caro amico mi aveva dato ospitalità. Il doganiere mi risponde testuale tramite Whatsapp: “Su una valutazione di 3000 euro di merce, tenga conto di 1000-1500 euro di spese doganali”. Cosaaaaaa? Pagherei per vecchie masserizie quasi la metà del loro presunto valore. Ammesso che valgano davvero 3000 euro. E pensare che avevo domandato anche a un cugino vicequestore a Milano (niente cognomi per rispetto alla sua privacy): “Non credo che portando in Italia mobili vecchi si debba pagare alcunché”. Risposta dettata dal buon senso comune. Che invece in questo caso, presumo in tanti altri, viene soffocato da una montagna di scartoffie burocratiche.

Perché pagare tasse su roba già nostra, dei miei figli che vengono a vivere a Napoli? Masserizie che sanno solo di memoria antica, questo è il loro unico valore. Dazi, balzelli e Iva a chi vanno: alla Svizzera o all’Italia? Provate a indovinare? Ancora un Whatsapp, Luca sempre più diligente e premuroso vuole davvero agevolarmi ogni pratica (che caro che è Lei) e mi offre anche una ditta di trasporti di sua conoscenza. Intanto clicco qualche sito e leggo testuale: “Non si pagano le tasse doganali per masserizie d’uso personale… In linea di massima, all’uscita dalla Svizzera con mobili od oggetti d’arredamento non vi sono particolari prescrizioni doganali da osservare. Non vengono riscossi dazi all’esportazione…”. Tiro un sospiro di sollievo. Allora perché dovrei pagarle in Italia? Mi scrive il diligentissimo: “L’Iva la paga a noi che siamo spedizionieri con conti doganali. Iva italiana quindi 22% Diritti che incasserà lo Stato”. Ma quali diritti avrebbe lo Stato padre/padrone su vecchi mobili ereditati? Il doganiere si mostra comprensivo: “Ambasciator non porta pena…” . Per certo porta solo conti che non tornano. Proprio mentre SuperMario tuona: “Non chiediamo soldi agli italiani, noi diamo soldi, con un piano d’emergenza che non ha precedenti nella storia del paese” (vedi Fratelli di Crozza, puntata del 12 novembre).

La corrispondenza tra me e il doganiere si fa sempre più serrata: si raccomanda di non passare la frontiera oltre le 18 (quando finisce il suo turno) e di prendere direttamente appuntamento con lui. Vuole seguire personalmente l’iter burocratico. Gli devo stare proprio a cuore. Ancora un Whatsapp: il tavolo di marmo non lo convince, chiede di mostrargli le gambe per una più corretta valutazione. Già le gambe, malgrè Draghi, rimaniamo sempre un paese di nani e ballerine. Se gli mostrassi le gambe, mi farebbe uno sconticino?

Ps. Acquasantiera di 42×35 cm (non stiamo mica parlando di San Pietro) comprata dal rigattiere Gennaro Ramaglia, da 50 anni il più conosciuto di Rua Catalana, strada di artigiani zona Questura di Napoli, pagata cento euro. Mi costa tre volte di più riportarla in Italia.

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Replica dell’Agenzia delle accise, dogane e Monopoli

In relazione al post apparso sul blog del Fatto Quotidiano il 20 novembre u.s. a firma della Sig.ra Januaria Piromallo, collaboratrice di codesta testata, si ritiene di dover effettuare alcune precisazioni. L’ufficio delle Dogane di Villa di Chiavenna non ha mai ricevuto richieste di informazioni da parte della Sig.ra Piromallo. Dalla lettura del post si evince, invece, che la Sig.ra si è confrontata con un “doganalista”, spedizioniere doganale, professionista privato che cura pratiche doganali per conto terzi. Per tale motivo non può essere riportata in capo al personale dell’Agenzia delle Dogane e Monopoli alcuna delle affermazioni riportate nel post.

(Maria Preiti, direttore territoriale)

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Risposta di Januaria Piromallo

Gentilissima, mi consenta un tono più colloquiale rispetto al suo così severo.
La invito a fare un controllo al numero a me fornito dalla dogana di Chiavenna. Conservate i tabulati delle telefonate, altrimenti voglio darle una mano: ho telefonato lunedì 8 novembre e una voce gentile femminile mi ha dato il numero di ufficio del doganiere. Il quale mi ha poi dato il suo cellulare per potergli inviare le foto. Alla responsabile del blog lascerò il cellullare di Luca: lavora per la dogana, non per conto terzi. Mi dispiace che lei sia ignara che alle Sue spalle è la sua dogana a comportarsi da Terzo Mondo (con tutto il rispetto che ho per il Terzo Mondo). Meno male che il Sud non ha confini altrimenti chissà direbbero di noi…

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