Il sottile filo che corre tra il pasticcio e il capolavoro, che tanto qualunque delle due cose accada “la gente fa oh”, come dice il rapper sardo Demi, citando in una sua canzone Sa Pibinca. Sa Pibinca è Dario Silva, attaccante uruguaiano che negli anni novanta giocava a Cagliari. E dove sennò? Ennesima perla pescata tra Montevideo e gli altri 175mila chilometri quadrati di suolo uruguaiano da Paco Casal e offerta a buon prezzo a Cellino, con la promessa che sarà rivenduta a una cifra da moltiplicare diverse volte per quella d’acquisto. Promessa di solito mantenuta.

In panca c’è il Trap e a lui quell’attaccante che calcia di destro e di sinistro, bravo di testa pur non essendo molto alto, piace e nel 1995 dà il suo benestare per farlo arrivare in una squadra ambiziosa. Qui Dario Silva diventa Sa Pibinca, un soprannome che indica la tendenza a rompere le scatole, ma proprio di brutto, agli avversari: se infatti in una puntata precedente di Ti Ricordi si parlava di Dely Valdes come di un centravanti splendido quando aveva palla tra i piedi, ma irritante quando si trattava di tutto il resto, Dario Silva era l’esatto opposto. Pressing asfissiante sui difensori avversari, corse a cercare di togliere palla ai portieri. E qualche volta gli andava anche bene a dir la verità.

E poi c’è il filo: quello che corre tra i capolavori, come i gol in rovesciata, al volo, o con deliziosi pallonetti che regalava al pubblico sardo e i pasticci giganteschi, come quando incespicava sul pallone a tu per tu col portiere o sciupava occasioni enormi. Pochi gol per Dario: come quello di 25 anni fa al Torino, in una gara praticamente dominata dai granata, ma risolta da Sa Pibinca con un colpo di testa da palla da fermo, in una delle poche occasioni avute dal Cagliari.

Pochi, ma spesso bellissimi o pesanti, come quello che regala la vittoria con la Roma nel ’97, ma non decisivi per evitare al Cagliari la retrocessione in B dopo lo spareggio di Napoli col Piacenza. Lui resta, segna tredici gol in cadetteria, riporta i sardi in A però a fine stagione va via, cedendo alle sirene spagnole anche a causa del pessimo rapporto instaurato con Ventura. Passa all’Espanyol, dove seppur con soli 3 gol contribuisce all’ottima stagione dei catalani che si classificano settimini nella Liga.

Poi passa al Malaga, dove trascorre il periodo più felice della sua carriera, accanto proprio a Dely Valdes (e a un giovanissimo Eto’o) , formando un attacco splendido con il panamense e segnando 36 gol in quattro anni. È il periodo in cui gioca benissimo anche in nazionale: segna regalando la vittoria sul Cile, soprattutto segna al Maracanà il vantaggio contro il Brasile, in una partita che finirà 1 a 1, stessa cosa contro l’Argentina. Decisivo dunque per portare la Celeste al Mondiale 2002, dove le cose però andranno male, uscendo al primo turno assieme alla Francia in un girone con Senegal e Danimarca.

Giocherà poi a Siviglia, segnando 9 gol e soprattutto vedendo e aiutando a crescere diversi giovani talenti, come Sergio Ramos (vicino di casa e amico), Dani Alves e Jesus Navas. Infine il Portsmouth, in Inghilterra, ma dopo 2 gol in 13 partite chiede di tornare in Uruguay per passare con il papà, molto malato, gli ultimi giorni della sua vita. Qui avrà anche un gravissimo incidente: la sua auto finisce contro un lampione, a Dario viene amputata una parte della gamba destra. È la fine della sua carriera da calciatore, naturalmente. Ma uno che si chiama Sa Pibinca non è tipo da arrendersi: mette una protesi, torna allo sport (in amichevole torna anche a segnare) e si riprende la vita.
Gli rubano pure diversi soldi, lui sostiene, ma si rialza ancora: diventa azionista di una pizzeria-ristorante italiano a Malaga, non disdegnando di servire i clienti e stare in sala. E torna nel calcio, entrando nello scouting del Cadiz. Sempre sul filo: perché se ti chiamano Sa Pibinca magari capita che inciampi sulla palla davanti al portiere. Ma capita pure che in quella successiva fai ammutolire il Maracanà.

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