La complessa vicenda giudiziaria per la morte di Carlotta Benusiglio, stilista di 37 anni che fu trovata impiccata con una sciarpa ad un albero nei giardini di piazza Napoli, a Milano, la notte del 31 maggio 2016, sta per avere un primo importante epilogo. Il pm di Milano Francesca Crupi ha chiesto una condanna a 30 anni per Marco Venturi, 45 anni, accusato di omicidio volontario. Per tre volte, da gip, Riesame e Cassazione, è stata bocciata la richiesta d’arresto per l’uomo, imputato in abbreviato davanti al giudice per l’udienza preliminare Raffaella Mascarino anche per stalking e lesioni ai danni della compagna. Una perizia in fase di indagini stabilì che si sarebbe trattato di suicidio. E lo scorso luglio il gup aveva rigettato la richiesta di una nuova perizia medico legale.

Il pm nel processo con il rito abbreviato (che prevede uno sconto di un terzo in caso di condanna e si svolge a porte chiuse) ha richiamato, a quanto si è saputo, le consulenze della Procura (il pm titolare era Gianfranco Gallo e nei mesi scorsi Crupi ha ereditato il fascicolo) e della parte civile, coi legali Gian Luigi Tizzoni e Pier Paolo Pieragostini, che rappresentano i familiari (in aula ci sono madre e sorella della stilista). Secondo gli inquirenti, Benusiglio venne strangolata quella notte dall’ex fidanzato, dopo l’ennesimo litigio, o con un braccio o “con la stessa sciarpa che indossava” e poi l’uomo avrebbe simulato il suicidio lasciando “il corpo, ormai cadavere, sospeso all’albero”.

Agli atti una consulenza sulle immagini di due telecamere di sorveglianza, prodotta dai legali della famiglia Benusiglio. L’orario della morte, poco prima delle 4 del mattino, è stato fissato nella consulenza grazie a un frame di una telecamera in cui si vede la luce di un lampione oscurata dal corpo della giovane appeso all’albero. Le contestazioni a carico di Venturi, difeso dai legali Andrea Belotti e Veronica Rasoli, sono state portate avanti in un’indagine in cui è passato da persona informata sui fatti, con il fascicolo in via di archiviazione, a indagato per istigazione al suicidio, fino all’accusa di aver assassinato la fidanzata. Sul caso pesano i tre provvedimenti con cui è stata respinta la richiesta d’arresto e la perizia disposta dal gip che stabilì che si trattò di suicidio. Per la Cassazione il “quadro” indiziario “non conduce univocamente ad un giudizio di alta probabilità di colpevolezza“, perché non è stata provata “oltre ogni dubbio” la sua responsabilità. Oggi parleranno anche i legali di parte civile e poi parola alla difesa il 24 gennaio.

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