Pena quasi dimezzata grazie alla concessione delle attenuanti generiche a uomo che strangolò, il 24 novembre 2018 a Firenze, la compagna nella camera dell’ostello dove alloggiavano. Il turbamento manifestato dopo il femminicidio e il fatto di non aver tentato la fuga, ma anzi di aver subito fatto chiamare la polizia, hanno convinto i giudici a infliggere 16 anni a un 32enne, originario del Myanmar che in primo grado con il rito abbreviato era stato condannato dal gup di Firenze a 30 anni per omicidio volontario. Nelle motivazioni della sentenza dei giudici di seconda grado – emessa il 15 settembre dalla Corte d’assise di appello del capoluogo toscano – l’omicida viene definito “un uomo realmente turbato e sconvolto dall’azione compiuta“.

La vittima, una giovane di origine cinese con cui l’imputato era a Firenze in vacanza, fu trovata senza vita sul letto della sua camera, con evidenti lividi sul collo. Secondo la ricostruzione degli inquirenti fu strangolata durante una lite. Sembra che la 21enne avesse chiesto all’uomo di scendere nella hall a chiedere al personale di posticipare il check-out. La direzione avrebbe concesso di poter rimanere un’ora in più, tempo per la 21enne insufficiente. Questo avrebbe provocato una discussione poi degenerata. Resosi conto di aver ucciso la compagna, l’imputato, così è stato ricostruito, non avrebbe tentato di scappare ma sarebbe subito corso a dare l’allarme, sconvolto.”Da valorizzare – si legge nelle motivazioni della sentenza – il profilo psicologico del comportamento tenuto dall’imputato nell’immediatezza del fatto: le persone presenti lo hanno definito sconvolto, hanno riferito che si è seduto su uno scalino piangendo in attesa che arrivasse la polizia”.

In base al racconto dei dipendenti dell’ostello l’uomo per prima cosa chiese di chiamare i soccorsi e la polizia, poi disse in inglese di aver ucciso la compagna. Quindi si andò a sedere sulle scale e attese. “Questa prima reazione sicuramente spontanea e non calcolata – scrivono ancora i giudici di secondo grado – vale molto di più di tanti pentimenti e richieste di perdono sbandierate in udienza a distanza di giorni e non mesi“. E poi ancora: “Il modo in cui l’imputato ha reagito sul momento, quando ha realizzato di aver provocato la morte di una persona, ci restituisce l’immagine di un uomo realmente turbato e sconvolto dell’azione appena compiuta, proprio perché si era trattato di un gesto non premeditato ma di un accesso di ira”.

Il difensore del 32enne, l’avvocato Francesco Stefani, pur dicendosi soddisfatto per la diminuzione della pena, ha annunciato ricorso in Cassazione. La Corte di assise di appello ha riconosciuto le attenuanti generiche come da lui richiesto, ma ha respinto un secondo motivo di appello, relativo al riconoscimento dell’attenuante della provocazione: la difesa aveva sostenuto che l’uomo avrebbe aggredito la compagna in reazione a suoi presunti soprusi ripetuti. Il 32enne avrebbe raccontato di continue umiliazioni a cui sarebbe stato sottoposto dalla 21enne, giovane dalla quale dipendeva economicamente. I suoi racconti però non hanno trovato altri riscontri, pertanto, fanno notare i giudici di secondo grado, potrebbero essere una sua invenzione. Inoltre, se anche tutto questo fosse vero, si sostiene sempre nelle motivazioni della sentenza, “non risulta in alcun modo che egli sia stato costretto ad accettare la convivenza”.

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