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Eutanasia, assolto il presidente di Exit-Italia perché il fatto non sussiste. Era imputato per istigazione al suicidio

Alessandra Giordano, un’insegnante di Paternò (Catania), morì a il 27 marzo nella clinica svizzera Dignitas. Era affetta da una nevralgia cronica rara, la sindrome di Eagle, molto dolorosa. Emilio Coveri le fornì le informazioni che le servivano
Eutanasia, assolto il presidente di Exit-Italia perché il fatto non sussiste. Era imputato per istigazione al suicidio
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Un mese fa il deposito di oltre un milione e 200mila firme per chiedere il referendum sulla eutanasia legale. Oggi il giudice per l’udienza preliminare di Catania, Marina Rizza, ha assolto, con la formula “perché il fatto non sussiste”, Emilio Coveri, presidente dell’associazione Exit-Italia, a conclusione del processo col rito abbreviato per istigazione al suicidio per il ricorso all’eutanasia nel 2019 in Svizzera di una 47enne della provincia etnea. Alessandra Giordano, un’insegnante di Paternò (Catania),morì il 27 marzo del 2019 nella clinica svizzera Dignitas. Era affetta da una nevralgia cronica rara, la sindrome di Eagle, molto dolorosa. Un caso che aveva fatto discutere ma completamente diverso da quello di Dj Fabo per cui Marco Cappato è stato processato e assolto dopo la sentenza della Consulta.

La Procura, che aveva chiesto la condanna a tre anni e quattro mesi di reclusione, valuterà se appellare la sentenza dopo il deposito delle motivazione, previste entro i prossimi 90 giorni. Nel procedimento si erano costituite come parti civili la madre, la sorella e tre fratelli della donna. La donna non era malata terminale, ma che da tempo soffriva anche di una grave forma di depressione. Secondo la Procura, che ha coordinato indagini di carabinieri e polizia postale, Coveri “determinava o comunque rafforzava il proposito suicida” della donna, poi avvenuto con l’eutanasia in una clinica di Zurigo. Avrebbe anche “indotto la donna” che “soffriva di depressione e sindrome di Eagle ad iscriversi all’associazione Exit” e tenuto “condotte accompagnate da sollecitazioni e argomentazioni in ordine alla legittimità anche etica della scelta” del suicidio assistito. “La signora – ha sempre sostenuto Coveri – era una nostra associata e le abbiamo semplicemente fornito, su sua richiesta, le informazioni che le servivano per prendere una decisione. Una procedura normale“.

“Alessandra – aveva spiegato dopo aver ricevuto l’informazione di garanzia – non ne poteva più delle sofferenze indicibili che aveva e che le avevano rovinato l’esistenza. Stava malissimo e aveva dovuto lasciare il suo lavoro di insegnante perché non riusciva a stare più in piedi dal dolore che aveva2.

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