Il finanziamento pubblico alla politica? “È impopolare, ma utile al Paese“. Parola di Massimo D’Alema, che in un’intervista al Corriere della Sera lo indica tra gli elementi necessari per la riforma di un sistema democratico che “non funziona” e “va ricostruito“. “Siamo in un dopoguerra, la ricostruzione passa anche attraverso i partiti“, spiega l’ex premier ad Aldo Cazzullo. “In Germania si finanziano le loro fondazioni culturali, dove si forma la futura classe dirigente. Se invece si pensa che il rapporto tra cittadini e istituzioni debba essere affidato a singole personalità, allora si abbia il coraggio di andare fino in fondo con il presidenzialismo, con tutti i controlli e i contrappesi necessari”. Così com’è, argomenta D’Alema, il sistema elettorale maggioritario produce “ammucchiate elettorali che si scontrano in modo violento, perché una campagna in cui chi ha un voto in più controlla il Parlamento è drammatica. Non è vero”, dice, “che chi vince governa il Paese. Da quindici anni si fanno governi che con il voto non c’entrano nulla“.

La soluzione? “Adotterei il sistema tedesco: il proporzionale con sbarramento al 5%, la sfiducia costruttiva, che limita l’instabilità che il proporzionale può portare, il finanziamento della politica”. Ma trent’anni fa gli italiani scelsero il maggioritario, “e lei era d’accordo”, gli fa notare Cazzullo. “Ed è stato giusto”, replica l’ex segretario dei Ds. “Si apriva una fase nuova, serviva un ricambio. Fu fatta una buona legge, che porta il nome di Mattarella. Oggi abbiamo una legge pessima (il Rosatellum, che assegna due terzi dei seggi col proporzionale e un terzo con collegi uninominali, ndr). Il degrado del maggioritario ha avuto effetti disastrosi, un Parlamento senza alcun rapporto con gli elettori“. Per questo, spiega, “oggi gli eletti non vanno sul territorio, perché si guadagnano la carica nell’ufficio o nell’anticamera del capo partito. Siamo a livelli di trasformismo mai raggiunti nella storia. Basta. È un’emergenza dal punto di vista della tenuta democratica”.

Per il Quirinale, dice, va scelta “una figura di garanzia, una persona che non abbia una caratterizzazione di parte”, preferibilmente una donna, da selezionare “nella politica, nella cultura e nelle professioni”. E Draghi? “Il Paese ha bisogno che continui a governare“, mentre “dal Quirinale non si governa, si svolge un ruolo di garanzia”. D’Alema risponde, in modo indiretto, ai tanti che ipotizzano (anche esplicitamente, come il ministro Giorgetti) un “semi-presidenzialismo di fatto” con l’ex capo della Bce eletto al Colle: “Stiamo attenti, abbiamo già inventato che i cittadini eleggevano il capo del governo. Non era vero. Con la Costituzione non si scherza, altrimenti si logora il sistema democratico”, avverte. Draghi deve restare a palazzo Chigi perché “siamo a metà del guado, in un momento delicatissimo”, in cui “il Pnrr dev’essere usato per gettare le basi di una crescita duratura“. E anche perché, spiega, il disegno della destra è proprio quello di prendersi il governo eleggendo il premier come capo dello Stato, “un disegno non positivo per il Paese”.

Alla domanda se il futuro della sinistra sia insieme ai 5 stelle, D’Alema non risponde direttamente. Ma ricorda: “Se oggi abbiamo la crescita, è per il modo in cui abbiamo affrontato la pandemia. Prima con Conte, poi in continuità con Draghi. Conte subisce un linciaggio da larga parte dell’informazione, eppure ha svolto e svolge un compito positivo: portare un movimento di protesta alla sfida di governo e all’alleanza con la sinistra”. D’Alema, Bersani, Speranza e gli altri della “ditta” torneranno nel Pd? “Si è aperto un dialogo, apprezzo il lavoro di Letta per aprire e rinnovare”, dice l’ex ministro degli Esteri. Ma “il Pd è figlio di una stagione in cui si teorizzava che le ideologie erano finite e servivano partiti aperti, senza strutture. Tutte queste idee erano sbagliate. C’è stato un momento in cui si scongelava la guerra fredda, era giusto liberarsi di un certo bagaglio ideologico: ma quando il Pd è nato, tra il 2007 e il 2008, la fase dell’ottimismo sul mondo globale era già finita”. Per questo “la sinistra deve tornare ad avere un messaggio ideale, anzi direi proprio ideologico: il riscatto sociale. L‘eguaglianza. Un mito progressista, da contrapporre a quello regressivo della terra e del sangue”.

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