di Carmelo Sant’Angelo

Un’altra insidia incombe sullo smemorato “convoglio” presidenziale: è l’art. 84 della Costituzione. Il secondo comma recita: “L’ufficio di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica.” Ciò significa che il Presidente del Consiglio in carica difetta dei requisiti per poter ambire al Colle. Né sarebbe utile presentarsi all’appuntamento come premier dimissionario, in quanto rimarrebbe in carica, per gli “affari correnti”, sino all’insediamento del nuovo Esecutivo. E’ anche vero che, nel caso concreto, non si tratterebbe di una elezione, ma di una mera “ascensione per acclamazione”, esperimento sinora sconosciuto anche alle religioni monoteiste.

L’unica chance per Mario Draghi, Costituzione alla mano, sarebbe quella di passare il testimone ancor prima della seduta plenaria del Parlamento. Missione impossibile.

Nell’attesa dell’annunciata assunzione, gli imbonitori dell’etere hanno già incominciato a riscrivere il passato. Occorre convincerci che tutto sia normale, nessun sconvolgimento. Anche gli ultimi quattro Presidenti della Repubblica avrebbero diretto, come pupari, i Presidenti del Consiglio da loro incaricati. Il premier non sarebbe stato altro che una longa manus quirinalizia. Ovviamente tutto falso, ma, si sa, una bugia ripetuta diventa verità.

Con queste frasi strampalate si pretenderebbe di mandare al rogo tomi di diritto costituzionale. Si fa strame della figura del Presidente della Repubblica come “potere neutro”, secondo la definizione di B. Constant, solo per una contingente convenienza e un gretto calcolo. Si preferisce denudare pubblicamente il “rappresentante dell’unità nazionale” spogliandolo della divisa nera da arbitro per fargli indossare una maglia da giocatore.

Il ruolo che i costituzionalisti hanno ritagliato al Presidente della Repubblica lo vede sapientemente silente, capace di praticare la prudenza, avulso dal sistema politico, che non distribuisce “giudizi”, ma è prodigo di “moniti”, manifestati in modo che ottengano un consenso (quanto meno formale) pressoché unanime. Egli opera come un “grande e saggio persuasore”, tesse le sue fila anche sotto traccia, ma al solo fine di perseguire obiettivi di coesione. Anche nel suo ruolo di “garante della Costituzione” assume una fisionomia negativa. Il Presidente non promuove, non coopera con gli altri poteri con cui si trova quasi quotidianamente in contatto, ma si frappone ad essi quando pongono in essere atti ritenuti contrari alla Costituzione. Sotto il profilo della responsabilità politica, il Presidente della Repubblica, inoltre, non è mai responsabile dei suoi atti, né davanti al Parlamento né davanti al Governo. Per questo motivo tutti gli atti devono essere controfirmati da uno o più ministri, e questi ultimi se ne assumono la responsabilità politica.

Non mi aspetto che chiunque sia un cultore della Costituzione, ma – come diceva Mario Brega in Un sacco bello – “manco le basi del mestiere”. Ciò che mi amareggia profondamente è che costoro percepiscano la Costituzione, scritta con il sangue degli italiani, come un ostacolo che mette a repentaglio i loro piani. Le regole della democrazia, da sempre, in questo Paese sono avvertite come un fastidio a cui bisogna necessariamente derogare. Sarebbero disposti a scardinare il sistema delle garanzie costituzionali pur di raggiungere il loro obiettivo, salvo poi inorridire per “l’efferatezza” del popolo che sciama nelle piazze.

È invece nei momenti di crisi che avremmo bisogno di più democrazia, di più Costituzione. “Povero quel Paese che ha bisogno” di rinunciare al Dna repubblicano per favorire i pochi a discapito della collettività.

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