L’inferno afghano per centinaia di collaboratori della missione italiana rimasti fuori dal piano di evacuazione di agosto. Per fuggire dall’oscurantismo dell’Emirato rimesso in piedi dai Talebani, a distanza di quasi un quarto di secolo dall’ultima volta, devono puntare a occidente. L’unica ancora di salvezza per loro, al momento, è il passaggio in Iran, con o senza documenti regolari, dopo la chiusura dei confini tra Afghanistan e Pakistan, mentre la strada a nord verso le ex repubbliche sovietiche non rappresenta un’alternativa fattibile.

Sarebbero già diversi i cittadini afghani, in particolare di etnia tagika o hazara, ad aver varcato la frontiera e aver chiesto aiuto all’ambasciata italiana a Teheran: “Il flusso si muove in quella direzione – spiega a Ilfattoquotidiano.it un funzionario della Farnesina – e da qui in avanti ce ne aspettiamo molti altri. Purtroppo queste persone non hanno chiaro il quadro generale, ma è comprensibile, vista la disperazione. Da quanto mi risulta, stando alle informazioni raccolte direttamente presso la nostra sede diplomatica a Teheran, stanno arrivando persone e famiglie che non rientrano nelle liste stilate prima e dopo l’uscita dei contingenti internazionali che componevano la missione Nato dall’Afghanistan. Per loro sarà molto difficile, se non impossibile, ottenere asilo in Italia”.

I rappresentanti al ministero degli Esteri e nella nostra ambasciata in Iran avvisano gli afghani desiderosi di fuggire dal loro Paese con l’obiettivo di arrivare in Italia: “Le autorità iraniane non li lasceranno entrare facilmente se non in possesso di un visto e di documenti regolari. Noi siamo una rappresentanza straniera lì, siamo ospiti, certe libertà non ce le possiamo prendere”, aggiunge la fonte della Farnesina.

Il governo e l’opinione pubblica italiana si sono concentrati prettamente sui collaboratori dell’Italia, con famiglie al seguito, ma nessuno si ricorda delle pratiche aperte per i ricongiungimenti familiari. Carteggi che rischiano di diventare carta straccia, la vera tragedia sta lì: proseguire l’iter burocratico per i diretti interessati è ormai inutile. Da Kabul, infatti, la sede diplomatica dell’Italia è stata delocalizzata in Qatar, meta non certo agevole da raggiungere per vidimare le pratiche.

Ma come stanno veramente le cose sotto il profilo delle procedure burocratiche per chi vorrebbe venire in Italia? Lo abbiamo chiesto a Daniele Valeri, avvocato di Asgi, l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione: “Andiamo con ordine. Chi ha già avuto il nullaosta per il ricongiungimento familiare è impossibilitato a ottenere il visto non essendoci un’ambasciata che possa rilasciarlo. Questo perché nella pratica di ricongiungimento è il parente stretto che vive già in Italia a rivolgersi alla prefettura chiedendo di potersi ricongiungere con il familiare in Afghanistan. Se le carte sono in regola il richiedete riceve il nullaosta firmato e gira il tutto all’ambasciata italiana a Kabul che però non esiste più. Dunque il procedimento si blocca. Altro ostacolo. Chi ancora si deve ricongiungere deve esibire alla prefettura dei documenti ufficiali delle autorità afghane, certificati di nascita, matrimonio ecc., tutte carte che poi, per essere valide in Italia, vanno tradotte e legalizzate dalla nostra ambasciata, da agosto spostata in Qatar. Potrebbero provare a rivolgersi alla sede diplomatica italiana in un altro Paese, ma anche in questo modo ci sono molti problemi. Inoltre, non tutti i familiari sono automaticamente ricongiungibili. Gli stessi genitori possono lasciare il Paese e venire in Italia solo se hanno superato i 65 anni di età e non hanno altri figli che li possono accudire. La strada dei permessi umanitari poi è molto difficile, l’Italia ne ha rilasciati pochissimi. Ciò che il ministero degli Esteri dovrebbe fare, e in questo senso Asgi ha già fatto richiesta, è emanare linee guida certe sulle procedure da seguire che possano essere diffuse a tutti gli operatori che si stanno occupando di questa problematica, fornendo tempestivamente tutte le informazioni del caso. In mancanza di questo, parlare di impegno per la salvezza di uomini e donne che in questo momento sono in pericolo in Afghanistan risulta del tutto vacuo”.

Restando sulla questione documentale, non va dimenticato un aspetto, ossia la confusione amministrativa che regna nell’era talebana. Ottenere qualsiasi tipo di documento personale è diventata un’impresa, specie per chi si sta nascondendo da possibili rappresaglie da parte dei nuovi padroni dell’Afghanistan: “Il mio passaporto è scaduto pochi mesi fa e adesso non so come fare per rinnovarlo. Chissà che fine ha fatto la pratica”, spiega Jailani Rahgozar uno dei tanti collaboratori della cooperai zone italiana di cui Ilfattoquotidiano.it si è già occupato nei mesi scorsi. Di base a Herat, Rahgozar sta cercando di capire come muoversi, come portare fuori dal caos la sua famiglia: “Dall’Italia continuano ad arrivare rassicurazioni, ma io non sono ancora sicuro al 100% di essere nella lista delle persone da evacuare. Gvc, una delle ong con cui ho collaborato qui a Herat, ha fornito al ministero degli Esteri italiano una lista in cui saremmo inclusi io e altri colleghi. Speriamo di ricevere presto buone notizie perché la situazione diventa ogni giorno più difficile”.

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