In queste ore precedenti la discussione e il voto parlamentari in proposito risuona il fresco benestare del Comitato tecnico-scientifico ad allargare in zona bianca le capienze dei cinema, attualmente limitate al 50%, portandole a un più normalizzante 80% per le sale al chiuso e al 100% quelle all’aperto. Sempre fermo restando l’obbligo di green pass e mascherina per tutti gli spettatori.

Nel frattempo gli incassi italiani ricominciano a carburare. Bene Mario Martone e Toni Servillo, il loro Qui rido io ha raggiunto 1 milione 61mila euro d’incasso totali e un 5° posto settimanale tra i blockbusters (in barba al 50% imposto dall’anti-Covid e al passato mai troppo roseo per gli incassi del regista partenopeo). Molto bene Come un gatto in tangenziale 2 che riemergendo dall’uscita agostana totalizza 2,9 milioni. E benissimo, pecuniariamente, pure Nanni Moretti con il suo controverso Tre piani, film preso da un romanzo – prima volta per lui –, da 857mila euro incassati dal 23 settembre. Che senza la menomazione sui posti in sala avrebbe volato ancora più alto probabilmente.

Diciamo che il film non proprio vola dal punto di vista emozionale invece. La borghesia algida che Moretti racconta adattando al grande schermo l’omonimo romanzo israeliano di Eshkol Nevo è ambientata in una Roma decolorata e anaffettiva. Al primo processo ci pensa il direttore della fotografia Michele D’Attanasio, che ha appena illuminato il diversissimo Freaks Out di Gabriele Mainetti, quindi nuovo a questo discorso di stile in sottrazione visiva così marcato. La concettualizzazione formalmente asciutta adottata dal regista sembra espansa anche su tutto il cast, così la treccia di storie a tratti stranianti di queste tre famiglie vicine di casa si arena in una fermezza severissima che ricorda vagamente gli Haneke o l’Elephant di Van Sant, guardando a drammi attuali sulla stessa linea; però qui l’esecuzione latita e di conseguenza la presa emotiva risulta respingente.

Così non c’impressioniamo più di tanto perché un giovane prende a calci suo padre, ma moltissimo perché aggredisce Nanni Moretti. Ci sono importanti rimandi a una lettura psicologica, è indubbio, ma le staticità di direzione attoriale e poi costumi, scenografie e trucco che poco o nulla cambiano nell’arco di 15 anni narrati ostacolano queste riflessioni, che comunque riescono a emergere giusto come difese alzate dallo spettatore stesso. Il risultato indubbio è un film cerebrale che nel bene e nel male sedimenta in chi lo guarda e fa discutere. Poi sta incassando in un periodo nero, perciò tutto sommato ben venga anche se vorremmo rivedere il Moretti di Santiago e Habemus Papam.

La base romana di Moretti sta nel suo Nuovo Sacher, cinema trasteverino che da alcuni giorni ha visto a pochi metri da sé la riapertura della Sala Troisi a opera dei Ragazzi del Piccolo America. Quelli delle proiezioni estive gratuite nella sempre trasteverina Piazza San Cosimato, per intenderci. Piccolo miracolo in un periodo di guerra alle piattaforme online che renderà quest’angolino di Roma un frizzante triangolo di cinema e cultura insieme al WeGil, centro polifunzionale di proiezioni, teatro, e spazi espositivi aperto solo da un paio d’anni che condivide con la Troisi lo stesso palazzo di architettura fascista. Felice esempio di costruttivo riuso urbano. Il nuovo cinema ha 300 posti e si fa notare per una pazza idea felicemente realizzata: una sala lettura aperta a tutti 24 ore su 24. La prima a Roma, visitata a sorpresa pochi giorni fa da Roberto Benigni, tra l’altro.

E ironia della sorte, il primo film qui proiettato, un’anteprima italiana assoluta dal 21 al 30 settembre, poi in tutta Italia, è proprio la nemesi veneziana di Nanni Moretti, quel Titane che gli ha fatto postare il commento al vetriolo su quanto sia vecchio. E non ha tutti i torti Moretti, dopo la visione mi ci sono sentito anch’io. Quel Titane che ha vinto a sorpresa la Palma d’Oro a Cannes a luglio 2021, quel Titane che ha scandalizzato e sconvolto quasi tutti quelli che lo hanno visto.

Portata in gloria come nuova profetessa di un horror al femminile tutto incubi e carne martoriata, la francese Julia Ducournau muove la sua nuova antieroina con l’istinto della killer seriale e l’affinità sessuale ed emotiva automobilistica che la fa ingravidare da una Cadillac (aveva ragione Moretti…). Di lì per mettersi al riparo dalle sirene blu che la cercano per gli omicidi si finge figlio di un comandante dei pompieri poco lucido e dipendente da steroidi, Vincent Lindon perfetto, da brividi. Plot totalmente folle, ma girato con una maestria d’esecuzione che ci fa credere completamente a ogni minimo terrificante dettaglio di questo incubo fatto film. Spietato, rivoltante e voyeurista, va bene, ma innalzarlo a simbolo di un nuovo cinema di genere o a capolavoro è un po’ eccessivo.

L’autrice gira incredibilmente bene, vero, ma sulle mescolanze uomo/macchina molto è stato detto, Cronenberg in cima a tutti, mentre la regista di origini iraniane Ana Lily Amirpour aveva già colpito Venezia nel 2014 con il suo “spaghetti western iraniano sui vampiri” girato in bianco e nero, A Girl Walks Home Alone at Night. E sempre a Cannes, nel 2016 floppò uno speranzoso Nicolas Winding Refn con il suo sottovalutato Neon Demon, storia patinata e implacabile di uccisioni tra modelle in cannibale ascesa. E senza nulla togliere alla Ducournau, quest’anno l’edizione di Cannes non è stata poi così densa di capolavori. La novità vera sta nel fatto che ora anche le registe offrono visioni disturbanti della realtà, e lo fanno con stilosità inedite, non più esclusiva maschile, ma territorio aperto a nuovi punti di vista e sperimentazioni di linguaggio.

Anche qua però, come in Tre piani, il film disturba, seppur in modi diversissimi, ma sedimenta, scava e fa discutere. Sempre ottima cosa per un film, si pensi a The Idiots di Von Trier. Per la critica è andata così, scontri titanici, mentre le facce perplesse dei numerosi spettatori della Sala Troisi dopo la visione promettono scosse per il grande pubblico. Insomma, a Moretti, un po’ come lui stesso si scontrò da giovane cineasta con Mario Monicelli, è toccato “sopportare” come vicina di casa l’autrice con un film che ricorda quasi la sua storica nemesi in Caro Diario: Henry pioggia di sangue, ma al femminile. Pazienza, ci riarmeremo d’ombrello.

Il cinema riparte: dalla controversa riscossa di Moretti e ‘Titane’ allo ‘007’ che dimentica Sean Connery

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