In un’intervista a la Repubblica si dice che le informazioni di cui si serve il ministro della Transizione ecologica, Roberto Cingolani, siano generate da Think Tank internazionali autorevoli.

Prenderei con le pinze gli studi dei Think Tank, non meglio specificati, che in molti casi sono gruppi di potere che hanno un interesse economico da perseguire o un’ideologia da promulgare e mi atterrei alle informazioni scientifiche autorevoli e pubbliche dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) o dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale, che nel settore della sostenibilità ambientale e dell’impatto della CO2 possono offrirci i dati e le soluzioni che ci servono per affrontare la catastrofe climatica insieme a tutte le ricerche della comunità scientifica.

L’uomo con l’uso dei combustibili fossili (petrolio, gas naturale, carbone) ha accresciuto le emissioni di CO2 in atmosfera fino a produrre squilibri con tifoni, alluvioni, allerte meteo e bombe d’acqua che sono oggi sempre più frequenti, agendo sul surriscaldamento delle acque, del pianeta, la propagazione degli incendi e la riduzione delle specie viventi, causando in media 115 morti al giorno e 202 milioni di dollari di danni.

La concentrazione di CO2 nell’atmosfera ha superato la soglia di 400 ppm (parti per milione), con un ritmo di crescita di 2,5 ppm annue. Questo significa che siamo prossimi al limite di concentrazione atmosferica di CO2 per limitare l’incremento di temperatura sotto i 2 °C ed evitare disastri.

Dal 2013, quando è stato superato il valore di 400 ppm, la velocità con cui è aumentata la concentrazione di anidride carbonica ci ha condotti in soli otto anni a sfiorare il valore di 420 ppm. Questo rappresenta un pericolosissimo campanello d’allarme che ministri dei capi di governo dovrebbero tenere a mente.

L’uso di energia è responsabile del 80% delle emissioni di gas effetto serra (Fonte: dati della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici), un terzo di essa dipende dai trasporti, l’8,72% dall’agricoltura, il 7,82% dai processi industriali e di utilizzo del prodotto e il 2,75% dalla gestione dei rifiuti.

Tuttavia, il ministro della Transizione Ecologica Cingolani ha più volte sminuito il ruolo dell’Europa sui cambiamenti climatici, ripetendo ossessivamente che “L’Europa produce solo il 9% della CO2”. Il problema, secondo il ragionamento del ministro, sono altri Paesi che inquinano di più.

Ma c’è un clamoroso fatto, che riviste scientifiche autorevoli denunciano da anni e che il ministro Cingolani nasconde: la globalizzazione e l’esternalizzazione della produzione industriale dai paesi sviluppati a quelli meno sviluppati, hanno un effetto sempre più rilevante sui bilanci energetici nazionali delle economie più sviluppate.

Il parametro TPES di un Paese (Total primary energy supply), e quindi anche dell’Europa, non tiene conto dell’energia “grigia” (il termine “energia grigia” indica l’ammontare totale dell’energia utilizzata nel corso dell’intera vita di un prodotto: estrazione delle materie prime, trasporto, trasformazione, montaggio, installazione, demolizione e smaltimento) di beni e servizi importati da altri Paesi.

In pratica facciamo fare il lavoro sporco ad altri: le imprese delocalizzano in luoghi in cui molto spesso gli standard ambientali non vengono osservati, e noi tendiamo a non farci carico dei rifiuti, delle emissioni, dell’inquinamento e delle crisi climatiche che produciamo fuori dai nostri confini nazionali, come se ci fosse un confine per l’aria mentre la casa in cui viviamo è la stessa.

L’Europa delocalizza la produzione di CO2 nei paesi in via di sviluppo per soddisfare il bisogno di consumo di tutti i cittadini europei. Il ministro della Transizione ecologica Cingolani nei contesti europei e internazionali dovrebbe spingere per una riforma sulle etichette per misurare l’“Energia Grigia”, ovvero l’impatto della CO2 dell’intero ciclo di vita di un prodotto o di un servizio.

Questa sarebbe una proposta da ministro della Transizione ecologica e una leva globale per convincere i Paesi più inquinanti a tenere dentro tutti i numeri di una crisi climatica mondiale, evitando di buttare CO2 sotto al tappeto o sottoterra, come piacerebbe fare ad alcuni.

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