di Luciano Sesta*

Nonostante comincino a sollevarsi sempre più voci al riguardo, in Italia, ad oggi, non esiste alcuna legge che imponga i vaccini anti-Covid come un obbligo per i cittadini. Dunque vale ancora, nel nostro paese, quella parte dell’art. 32 Cost. in cui si precisa che “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario” in mancanza di una legge che lo imponga. Questo però significa che non si può più accusare il non vaccinato di danneggiare gli altri con la propria scelta di non vaccinarsi. Non esiste infatti alcuna responsabilità per conseguenze che derivano dall’esercizio di un diritto costituzionalmente valido. Conseguenze eventualmente dannose dell’esercizio di un diritto non possono essere imputate a chi si avvale di quel diritto. Una persona è responsabile delle conseguenze che derivano dal non aver adempiuto un dovere, non di quelle che derivano dall’essersi avvalso di un diritto.

Come si concilia questo sgravio di responsabilità giuridica con il dovere sociale di contribuire alla riduzione dei contagi e dei danni provocati dal virus? Oltre ai diritti di libertà, di cui si avvalgono vaccinati e non vaccinati nelle loro rispettive scelte, esiste infatti anche il loro dovere di comportarsi responsabilmente. E mentre i diritti di libertà legittimano scelte diverse e anche opposte, i doveri di responsabilità accomunano, richiedendo a tutti lo stesso comportamento. Che non è quello di vaccinarsi, che appunto non è un dovere ma un diritto, ma quello di osservare le norme di prevenzione – mascherina e distanziamento – richieste a tutti, vaccinati e non vaccinati. Il principio giuridico secondo cui “non impedire un danno che si ha il dovere di impedire equivale a provocarlo”, dunque, si applica non alla mancata vaccinazione, ma al mancato rispetto delle norme di prevenzione del contagio, dal momento che a essere un dovere sono queste norme, non la vaccinazione.

Ora, però, al di là della comune prudenza richiesta a vaccinati e non vaccinati, se i danni che conseguono all’esercizio di un diritto sono così gravi come quelli di una pandemia, perché lo Stato, per evitarli, non converte il diritto di non vaccinarsi in un obbligo a farlo? Delle due l’una: o quei danni non sono così gravi, oppure i vaccini che dovrebbero evitarli non offrono sufficienti garanzie a uno Stato che volesse imporli per legge. O forse entrambe le cose, come sembra testimoniare la soluzione “grigia” del pass “verde”. Il green pass è infatti un espediente con cui il governo, sapendo di non avere i requisiti per poter imporre per legge la vaccinazione, prova a ottenere un risultato simile a quello che avrebbe ottenuto con l’obbligo di legge, ossia la vaccinazione di più persone possibili, ma senza assumersi gli oneri amministrativi e penali che l’imposizione di un obbligo esplicito gli avrebbe richiesto. Ciò significa che, in Italia, il vaccino è oggi di fatto obbligatorio, ma senza che al cittadino siano assicurate quelle garanzie comunque previste per qualunque altro obbligo di legge.

Una possibile teoria che giustifica questo comportamento politico è quella del “paternalismo liberale” o della “spinta gentile” (nudge). Invece di obbligare in modo diretto, il governo preferirebbe dare qualche “spintarella” che inclini alla vaccinazione senza costringere a farla. In questo modo sarebbe rispettata la libertà del cittadino, il quale verrebbe non obbligato ma responsabilizzato. Si tratta di una teoria filosoficamente elegante ma di fatto inapplicabile alla situazione in cui ci troviamo. La “spinta” rappresentata dal green pass, soprattutto quando si tratta di diritto al lavoro e alla retribuzione, è infatti troppo decisa e al tempo stesso obliqua per non essere percepita come un misero ricatto.

La “spinta gentile”, che vorrebbe evitare l’effetto controproducente dell’irrigidimento conseguente all’obbligo esplicito, finisce per rinforzarlo, perché del green pass il cittadino avverte il carattere non certo “responsabilizzante”, ma semmai “strategico” ed “estorsivo” di un consenso che, altrimenti, sarebbe negato. Se del resto la vaccinazione di massa è davvero l’unica strada, come può l’attuale governo pensare che l’interesse della collettività sia meglio tutelato non già da una legge del parlamento che obblighi al vaccino, ma rimettendosi al “buon cuore” di esitanti e irriducibili no vax, e per di più dopo averli ulteriormente esasperati mettendoli all’angolo con il green pass?

Qualcosa non torna in questo gioco della persuasione morale nei confronti di persone che, per il semplice fatto di aver deciso di non vaccinarsi, sono ritenute prive di qualunque senso morale. Come se la causa per la quale le si vorrebbe convincere non fosse abbastanza grave e urgente da giustificare una costrizione.

E veniamo qui al cuore della questione, ossia alla distinzione fra ciò che spetta ai singoli cittadini e ciò che spetta agli organi di governo e allo Stato. Quando è in gioco l’interesse della collettività e non soltanto dell’individuo, un determinato comportamento non può essere semplicemente raccomandato come dovere morale, ma dev’essere imposto per legge. Assicurare l’interesse della collettività, infatti, non è compito del singolo cittadino, ma del governo o del parlamento. Se la vaccinazione di massa, e dunque non solo dei soggetti fragili, è oggi davvero l’unico mezzo per difendere l’interesse della collettività, perché viene lasciata alla discrezione dei singoli?

Una possibile risposta è che o i vaccini anti-Covid sono raccomandati non per l’interesse della collettività ma per altre ragioni, oppure non sono affatto così sicuri ed efficaci come si decanta, dal momento che, se lo fossero, sarebbero già stati resi obbligatori come si è fatto con altre vaccinazioni. Perché non lo si è fatto? Cosa distingue, in termini di sicurezza e di efficacia, i vaccini anti-Covid dai vaccini che lo Stato prevede già come obbligatori? Inoltre: se il Covid è una pandemia, e dunque un’emergenza sanitaria ben più grave di quella che si pensa di arginare con le vaccinazioni già previste come obbligatorie, come mai i vaccini che potrebbero liberarcene rimangono ancora oggi giuridicamente facoltativi?

Si potrebbe pensare che, a differenza degli altri vaccini, quelli contro il Covid sono già stati somministrati a oltre il 60% della popolazione, per cui non sarebbe più necessario imporli per legge. Se però fosse questo il motivo, perché la responsabilità di contagi e decessi continua a essere scaricata sui non vaccinati anziché su un governo che, pur potendo risolvere il problema con una legge che li obblighi a vaccinarsi, continua a giocare irresponsabilmente con la salute pubblica? Perché prospettare la minaccia di nuovi lockdown attribuendone la responsabilità ai non vaccinati, quando basterebbe piegarne la resistenza con un obbligo di legge per scongiurare il rischio di ulteriori chiusure?

Strano, perché di fronte ad altre emergenze, anche meno gravi, si è sempre fatto così. Nel corso dell’emergenza terroristica dei primi anni Duemila e della recessione economica di poco successiva, nessun governo ha rimesso all’iniziativa morale dei singoli la decisione sul da farsi né si è limitato a “raccomandare” fortemente misure di sicurezza e di austerity. Ha invece imposto severe restrizioni della libertà personale con leggi e provvedimenti speciali, alcuni molto impopolari. Anche allora fu la scienza, militare ed economica, a guidare le decisioni dei governi, che ne applicarono inflessibilmente le indicazioni. Ebbene, nonostante la scienza medica, così ci viene ripetuto, metta oggi a disposizione vaccini “sicuri ed efficaci”, la politica sta esitando a renderli obbligatori come pure ha fatto con altri vaccini.

Di questa famosa “scienza” di cui occorrerebbe tutti “fidarsi” sembra insomma che non si fidi proprio nessuno: non coloro che non intendono vaccinarsi, non lo Stato che dovrebbe obbligarli ma che proprio non riesce a farlo.

Se lo Stato esita a dare compiuta efficacia a quella che, pure, sarebbe l’unica soluzione del problema, delle due l’una: o il Covid, pur nella sua reale gravità, non è la catastrofe che si dice, oppure i vaccini non sono, di questa catastrofe, l’unica, più sicura ed efficace soluzione. Lungi dall’ottenere lo stesso scopo dell’obbligo vaccinale pur senza imporlo, il green pass, da questo punto di vista, è il sintomo paradossale di uno Stato tanto più invadente e autoritario quanto più si sottrae alle responsabilità che gli competono. Di più. Se davvero i vaccini sono la soluzione, uno Stato che, pur di non obbligare formalmente al vaccino, affolla di norme la vita sociale e lavorativa delle persone per indurle a vaccinarsi è uno Stato fondamentalmente “no vax”. Il che può significare solo due cose: o che lo Stato sta sbagliando tutto, o che i no vax, su obblighi e green pass, stanno segnalando un problema reale.

*docente di bioetica e filosofia morale dell’Università di Palermo

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