di Pietro Francesco Maria De Sarlo

Michael Porter è il padre delle strategie manageriali applicate sia alle aziende sia ai territori. Intuizioni geniali come la catena del valore e il modello delle “cinque forze” applicato alle aziende oppure quello del diamante applicato alle nazioni, ne fanno uno dei maggiori innovatori del pensiero economico moderno. Il suo libro La strategia competitiva delle nazioni per me dovrebbe essere reso obbligatorio per tutti quelli che si affacciano al mondo della politica o della pubblica amministrazione.

Così avrebbero una metodologia alternativa per maturare una visione sui fattori di successo delle nazioni rispetto al farsi guidare nella gestione della res publica dai modelli econometrici. Modelli di cui spesso sono ignote le assunzioni e le ipotesi di base che legano i comportamenti umani alle politiche monetarie e fiscali. In questo libro uno dei ‘fattori ereditari’ da tenere in conto per maturare una strategia di sviluppo è la posizione geografica di un Paese. Pare talmente ovvio da risultare sconvolgente che nei piani operativi, come nell’attuale Pnrr, nessuno ne parli o ne tenga conto.

L’Italia è l’unico dei grandi paesi europei ad affacciare solo sul Mediterraneo. Ora, questo non è un mare qualsiasi perché si trova nel punto di incontro di tre continenti. Al centro di questo mare c’è proprio il bel Paese che non a caso, insieme alla Grecia, è stato la culla della civiltà occidentale. Grazie a questa posizione, la penisola italiana ha vissuto negli ultimi duemila anni periodi di enorme prosperità, specie al Sud, con un unico momento di interruzione costituito dal Medioevo quando, come scrisse lo storico belga Henri Pirenne, il Mediterraneo si ridusse, per l’assenza dei commerci, ad ‘un lago stagnante’. La scoperta dell’America ha poi gradualmente fatto perdere di centralità al bacino e oggi possiamo dire che, mutatis mutandis, è nuovamente ‘un lago stagnante’.

I paesi che vi si affacciano registrano turbolenze e difficoltà e le vie di commercio aperte dal Canale di Suez non sembrano rivitalizzare a sufficienza gli scambi nell’area anche a causa dell’assenza di un paese guida che, per storia, economia e posizione geografica, dovrebbe essere proprio l’Italia. Purtroppo dai tempi di Giulio Andreotti e Bettino Craxi pare che il ceto intellettuale e dirigente del Paese, Draghi uber alles, pensa e si comporta come se il confine meridionale della Nazione fosse la Baviera e che poi ci sia il finis terrae.

Dall’entrata in vigore dell’Euro poi questo ceppo dirigente pare confondere gli interessi del Paese con quelli dell’Olanda e della Germania, quasi come se Palermo Milano Roma fossero nel centro decisionale politico, logistico ed economico al crocicchio che congiunge Berlino con Parigi e Francoforte. Così, mentre il primo interlocutore economico della Cina è la Germania, buona parte del pil tedesco di scambi, da noi appena si va a parlare con Pechino per aumentare l’export di due cocomeri e un peperone si apre il diluvio universale.

Eppure da un punto di vista strategico il polo del Mediterraneo dovrebbe essere alternativo e in competizione con quello del distretto portuale di Rotterdam, Anversa, eppure occorrerebbe all’Europa un centro di sviluppo concorrente o complementare a quello del Nord Europa, come la California per la East Coast. Inoltre avere TUTTE le istituzioni europee tra Bruxelles, Francoforte e Lussemburgo significa dare un enorme vantaggio competitivo a quelle aree e occorrerebbe almeno pretendere una redistribuzione del pil derivante da queste istituzioni comuni nelle aree ridotte a periferia economica e politica.

Il Pnrr dovrebbe essere pieno di progetti per le infrastrutture al Sud ma i ‘modellisti’ di area liberal sostengono che le infrastrutture seguono e non precedono lo sviluppo. Come se Isabella di Castiglia avesse detto a Colombo: prima mi scopri l’Ameria e poi ti do le caravelle. Nel disinteresse stiamo lasciando la supremazia del Mediterraneo, fino anche all’Etiopia e alla Somalia, alla Turchia. Sic transit gloria mundi!

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